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Dopo la Cina, l’India: Trudeau è sempre più isolato

Lo aveva già capito Niccolò Machiavelli nel XVI secolo: in politica si deve partire dallo stato reale delle cose, senza inseguire un’idea di perfezione come nell’utopia, alla quale  il realismo politico è antitetico. In altre parole, nella gestione della ‘cosa pubblica’, bisogna essere realistici, pragmatici, concreti. Un concetto ribadito dall’architetto per antonomasia della Realpolitik, Otto Von Bismarck, statista prussiano del XIX secolo: “Il solo sano fondamento di un grande Stato è l’egoismo statale, non il romanticismo; e non è degno di un grande Stato contendere per una questione che non rientra nel suo particolare interesse”. È la Ragion di Stato, bellezza! Tradotto: a volte bisogna mettere da parte gli ideali, accettare il male minore, scendere a compromessi e pensare a lungo termine, per l’interesse supremo della Nazione. Non ci sono dubbi che a spingere Trudeau ad accusare direttamente e platealmente l’India, per l’omicidio sul suo territorio dell’attivista sikh Hardeep Singh Nijjar, siano stati principi esemplari, ammirevoli, nobilissimi. Che noi condividiamo senza remore. Accusato di lassismo e superficialità per le ingerenze cinesi alle ultime elezioni, messo alle strette dalle opposizioni che hanno chiesto e ottenuto una Commissione d’inchiesta, ostaggio di Meta per le notizie bloccate su Facebook e Instagram, ‘scaricato’ dagli stessi elettori (gli ultimi sondaggi lo danno in ritardo del 14% dal leader conservatore Polievre), questa volta il leader liberale Trudeau ha voluto dare una prova di forza, coraggio e risolutezza, denunciando ‘urbi et orbi’ l’assassinio politico da parte dei servizi segreti indiani. Sia chiaro: se confermato – e il governo ha fatto sapere di avere prove solide e inequivocabili – si tratta di una violazione inaccettabile della sovranità canadese. Accuse “infondate” secondo il governo indiano, che “cercano di spostare l’attenzione dai terroristi e dagli estremisti Khalistani, ai quali è stato offerto rifugio in Canada e che continuano a minacciare la sovranità e l’integrità territoriale dell’India”, ha tuonato il Ministro degli Esteri di New Delhi. Come prevedibile, la crisi nelle relazioni bilaterali tra i due Paesi ha portato all’espulsione di diplomatici dalle rispettive Ambasciate, con l’India che ha addirittura sconsigliato ai suoi cittadini di visitare alcune aree del Canada. Particolare da non sottovalutare: tra i tanti Sikh canadesi, ce n’è uno a cui Justin Trudeau deve la sua sopravvivenza politica. È Jagmeet Singh, leader del Nuovo Partito Democratico, che, con il suo irreprensibile appoggio esterno, tiene in vita il governo garantendogli la maggioranza in Parlamento. L’impressione, insomma, è che Trudeau, pur animato da motivi legittimi e condivisibili, abbia agito d’impulso più da leader liberale che da Primo Ministro, senza calcolare i nefasti effetti geopolitici a lungo termine. Non sarebbe stato meglio far filtrare la notizia attraverso gli organi di stampa e poi cavalcare l’opinione pubblica indignata? Il Canada, un Paese di 40 milioni di abitanti (un nuovo immigrato su 5, tra l’altro, è nato proprio in India) che ha bisogno del commercio per prosperare, non può inimicarsi sia la Cina che l’India. Oggi l’India è il Paese più popoloso al mondo (davanti alla Cina), la 5ª potenza economica mondiale con prospettive di crescita senza precedenti, un alleato fondamentale per contrastare l’influenza cinese nella regione indopacifica. Un alleato a cui nemmeno Washington può permettersi di voltare le spalle. Da qui la reazione blanda dello stesso Presidente americano, Joe Biden, che non ha nessun interesse ad alimentare frizioni con un alleato fondamentale come Modi. Una strategia che, ad oggi, sembra avere la priorità perfino sui diritti umani. Un esempio lampante di come la Ragion di Stato, quella di Machiavelli e Bismark, prevalga sugli ideali più nobili di Trudeau. 

 

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