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Dopo Babbo Natale e la Befana

Dopo Babbo Natale e la Befana, iniziamo un anno nuovo pieno di incognite. Non so in Canada, ma qui un recente sondaggio ha rivelato che un italiano su tre è preoccupato  e molti ritengono che il Nuovo Anno sarà peggiore del precedente. Non bisogna essere pessimisti, ma i primi segnali non sono buoni. Abbiamo, vicino a noi, un paio di guerre e una certa instabilità politica. Ed allora, con questo pezzo, spero di farvi almeno sorridere, raccontandovi come, verso la fine degli anni ‘50, ho deciso di emigrare in Canada.

 

Sono uno dei pochi della mia generazione a non aver studiato in seminario e a non essere andato all’avviamento professionale. Vicino al mio paese, a Larino, c’era e c’è ancora il Liceo classico “Francesco D’Ovidio” che ho frequentato dopo le Medie e il Ginnasio. Adolescenza felice tra calcio e ciclismo, con il sogno di evadere. Verso la fine degli anni ‘50 era popolare l’auto-stop e i primi turisti tedeschi arrivavano in Italia con questo stratagemma. Oggi il mondo è cambiato. In peggio.

 

 

Sognavo quindi di viaggiare e di visitare la Francia. Con alcuni amici ci siamo accontentati di andare in bicicletta al mare di Termoli (30 km) o di fare campeggio, anche se non avevamo ancora una tenda, sui colli poco distanti dal paese o sulle rive di un torrente, il Cigno, che nasce a Casacalenda e che sfocia nell’Adriatico, vicino Termoli. Solo nel ‘55 mio padre mi ha inviato, da Toronto, 2-3 paia di blue jeans Levi’s e la famosa tenda chiamata canadese che si vende ancora oggi.

E così, per un paio d’anni, ho meditato, affrontando le reticenze di mio padre, di emigrare in Canada. Pura follia o incoscienza. E siamo giunti al 1959. Visto per il Canada a Roma in agosto e partenza per Halifax,  sulla nave ‘Saturnia’, il 31 agosto, da Napoli.

In questo viaggio ero accompagnato, per puro casa, da uno zio (zio Costanzo) che dall’età di 17 anni era emigrato a Youngstown, in Ohio, e, come facevano gli emigranti della prima ondata  del ‘900 verso gli Stati Uniti, raramente richiamavano la propria famiglia e tornavano in Italia generalmente ogni cinque anni.

 

Zio Costanzo, come succede a tutti gli emigranti, era più americano che italiano: fumava il sigaro e amava le birrerie che chiamava nel suo montoriese-americano “a bar’’. E così, come al solito, a Napoli scelse un albero a tre stelle con il bar al primo piano. Io invece, in quei 2-3 giorni prima della partenza, partivo alla scoperta di Napoli e, amando il mare, andavo a Mergellina, affittavo una barchetta coi remi e mi lasciavo cullare dal mare.

 

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31 agosto 1959: giorno della partenza. Imbarco nel pomeriggio e partenza verso la mezzanotte. Cabina per quattro persone e letti a castello. In questa cabina ci siamo ritrovani tre giovinastri e un anziano italo-americano che andava a letto alle 21.

E non penso che abbia dormito molto durante il suo viaggio.

 

Verso mezzanotte tutti sul ponte. La nave si stacca lentamente dal molo e, appena comincia a muoversi, si sente un boato di urla e pianti, con una folla immensa che sbandierava dei fazzoletti bianchi. Solo io non ho pianto. Ero contento di partire.

 

Torniamo indietro ai primi anni ‘50. D’estate, per un paio di settimane o un mese, molte persone del mio paese che avevano i figli piccoli affittavano una stanza in una casa e portavano i loro figli al mare perché si diceva che l’aria del mare facesse bene. Mi ci portava anche mia madre con le due sorelle e, quando la mattina ci recavamo sulla spiaggia, all’angolo della via dove si trovava la nostra casa c’era un rivenditore di banane. Venivano dall’Africa, erano piccolissime e costavano una fortuna. Ogni mattina che passavamo davanti al carrettino con le banane imploravo mia madre di comprarmene una. Non ci sono mai riuscito. Poi, anni dopo, leggendo l’Espresso che aveva fatto un’inchiesta sul monopolio della banane importate dall’Africa, ho appreso che il monopolio lo aveva un generale dell’esercito. Com’è andato il viaggio verso Halifax?

Bene, solo che, insieme agli altri due giovinastri che viaggiavano con me, per la colazione avevamo il primo turno, alle 7.30 del mattino e, andando a letto tardi, l’ora fissata era proibitiva e quindi abbiamo sofferto la fame. E zio Costanzo? Durante la traversata non ci siamo mai visti. Forse avevamo orari e abitudini differenti.

 

9 settembre: giorno dell’arrivo ad Halifax. Zio Costanzo era felice di consegnarmi a mio padre che aspettava sul molo. Dopo l’abbraccio, con la coda dell’occhio, cosa vedo? Un bancarella dove vendevano banane…giganti. Ne compro un grappolo, le mangio tutte e per poco non crepavo. Montréal mon amour. Qui viveva una sorella di mia nonna emigrata  in Canada nel 1939 per raggiungere il marito. Mi sono subito innamorato di questa città e dei colori del suo cielo che mi facevano pensare alla Napoli appena lasciata. Ma la mia destinazione finale era Toronto da dove sono scappato, appena ho potuto, due anni dopo. Ed è così che è cominciata la mia avventura canadese, durata più di 46 anni.

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