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Di pensieri e parole

Beppe Grillo, tonitruante dal palco di una recente manifestazione del suo movimento politico, ha affermato “Cittadini, fate delle brigate di cittadinanza, mettetevi il passamontagna e di notte, senza farvi vedere, fate i lavoretti, sistemate i marciapiedi. Reagite!’’.  Ora, mentre la reazione della maggior parte della stampa e di esponenti di compagini politiche opposte al movimento grillino ha inteso leggere nelle parole del comico un (sic!) nefando invito alla lotta armata, l’opinione pubblica sembrerebbe aver colto tutta l’ironia della boutade di Grillo che, semmai, avrebbe incitato i cittadini a del tutto sane forme di responsabilizzazione civica.

 

Al di là della strumentalizzazione delle parole a fini di propaganda politica, a me sembra che questo episodio esprima tutta la problematicità del rapporto tra pensiero e linguaggio. Riflettiamo insieme: possono, le parole, dare corpo univoco, chiaro e incontrovertibile a quello che pensiamo? La risposta che la filosofia dà tradizionalmente a questa domanda è negativa. Il linguaggio non riuscirà mai ad andare oltre il carattere di mero “segno’’ del nostro pensiero, fallendo, così, inesorabilmente nel tentativo di esprimerlo in tutta la sua verità.

 

Con questo non vorremmo certo invitare a seguire alla lettera una delle proposizioni di Wittgenstein più celebri: “di ciò di cui non si può parlare si deve tacere’’; in fondo – suvvia! – siamo o non siamo aristotelicamente l’animale che parla? Ciononostante, dobbiamo accettare l’impossibilità che le nostre parole restituiscano la verità delle nostre percezioni; il linguaggio finisce sempre per dare una patina al pensiero, mascherandolo, straniandolo.

 

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Che Grillo, con quella battuta, non stesse pensando al passamontagna di certi giorni sanguinosi della nostra Repubblica, bensì all’attivismo socialmente utile di un super-eroe mascherato, come altri hanno ironicamente ipotizzato? Che le reazioni di giornalisti e politici ostili siano naufragate in una lettura semplicemente doxastica e opportunistica dell’invito del comico? Ai posteri…

 

Il fatto è che le nostre parole, segnatamente quelle che dovrebbero esprimere un pensiero legato alla sfera dell’etica, si scontrano con il fallimento di una rappresentazione univoca della verità. Il nostro linguaggio non potrà mai evitare la deriva di un misticismo espressivo, fluttuante, spesso opinabile.

Per dirla nietzschianamente: non esistono fatti ma solo interpretazioni. E anche questa è una interpretazione.

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