“Grazie per la lezione, Vincenzo! Buona giornata!”. Felipe, uno dei miei studenti d’italiano, è sempre, immancabilmente, l’ultima eco tra il vociare dei suoi compagni che lasciano la mia classe alla fine dell’ora. La sua voce mi coglie proprio perché è un’eccezione all’assenza generale di un riconoscimento di quel che avviene durante il corso, cioè l’offerta del sapere in un clima di confronto umano ed empatico. Il fenomeno dell’indifferenza, peraltro, potrebbe ripetersi nella disinvoltura di chi, sfruttando una porta d’ingresso tenuta aperta da chi gli è davanti, entra in un luogo senza esprimere un cenno di riconoscenza per quella gentilezza; o in un documento passato a un compagno senza nemmeno guardarlo negli occhi, sapendo, comunque, che quello non lo degnerà di uno sguardo. Sono piccoli indizî di un atteggiamento inquietante: la gratitudine assente. Il problema della mancanza di un senso di gratitudine mi sembra tipico delle generazioni più giovani e si lega, forse, all’evaporazione di una percezione diffusa del meraviglioso dono che è la vita, del suo mistero. Oggi, tutto sembra ridursi alla logica di un calcolo, a stringenti equazioni da cui far derivare risultati certi, scontati, sicuri, che non devono minimamente sorprendere. In fondo, “se abbiamo il wi-fi, siamo al sicuro. Computo et necto, ergo sum’’. Ma, a ben vedere, potrebbe esserci dell’altro: questi giovani, forse, avvertono inconsapevolmente l’angoscia di ritrovarsi scaraventati in un mondo dalle fragili impalcature, sull’orlo del disastro climatico e della pazzia belligerante di chi li governa. “Di cosa dovremmo, poi, esser grati? A quale “dio’’ dovremmo esprimere la nostra lode?’’, sembrano dirci nell’indifferenza dei loro sguardi ipnotizzati e attraccati alla luminescenza dei loro intelligentissimi telefonini. Come cantava Hölderlin, “gli dèi e Dio sono fuggiti”. E solo loro potrebbero salvarci, rincarava Heidegger. In tempi in cui ogni riferimento all’idea di autorità sembra essere scomparso, con un Padre sempre più assente e improvvidamente “amico’” dei figli, pronto a paracadutarsi in soccorso del pargolo a cui un malcapitato insegnante abbia negato quel che lo studente non ha, in fondo, meritato, l’idea di gratitudine perde ogni diritto di cittadinanza. Tutto è dovuto. In fondo, anche dirsi “buongiorno!’’ suona ormai inutile, nei corridoi e nelle sale di classe. È tempo di reimparare a dire “grazie!’’ al Sole che sorge, a rispettare una Natura ridotta a “mezzo” per ottenere scopi sempre più lontani da un’idea di rapporto armonico con ciò che ci circonda.
Intanto, in classe, stiamo leggendo il “Cantico di Frate Sole’’ di San Francesco. In fondo, la nostra bella letteratura italiana ha in questi versi uno degli abbrivî più belli. L’habitus della gratitudine ha esempi illustri. Non rinunciamo a recuperarli davvero.