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Del sacro e della vita

Da sempre, l’umanità ha percepito la presenza ineffabile di un qualcosa che la trascende, che la sovrasta, qualcosa di separato da essa, di “altro da sé’’, di misterioso: il sacro. Esso ci imprime la consapevolezza dell’esistenza di un quid che si oppone a noi, che ci domina e che non possiamo controllare. Il senso comune di questa idea ci induce a vedervi, in primis, qualcosa a cui sentiamo di tendere e legarci fideisticamente: fare ingresso nel sacro silenzio della Cappella Sistina o restare rapiti davanti al sacro dolore della Vergine che tiene le spoglie del Cristo nell’opera di Michelangelo rafforza in noi la necessità di abbandonarci al mistero di un mondo ultraterreno che esige rispetto, dedizione, abnegazione e adorazione. Ma a ben vedere, il sentimento di ciò che è “sacro’’ va al di là dell’esser “legati’’ a una religione storico-rivelata. Infatti, esso potrebbe, al contrario, rappresentare anche qualcosa di tremendo e minaccioso, che suscita il thauma aristotelico, il terrore. In quest’ultimo senso, il sacro parrebbe addirittura precedere la religiosità e contenerla; potremmo dire che non tutto ciò che è sacro è giocoforza espressione di una serena accettazione di un trascendente rivelato. La sfuggevolezza del significato di sacro appare ancor più sorprendente se andiamo indietro nel tempo, all’epoca degli albori della Roma dei re, allorché si definiva sacer colui che, avendo disobbedito alla legge degli dèi, poteva essere ucciso impunemente da chiunque; inoltre, la sua condizione di “sacro’’ lo macchiava, lo malediceva e lo separava dal consesso umano e metafisico, al punto che non poteva più, egli stesso, essere sacrificato agli dèi; non ne aveva più la dignità. Una sacertà vista come condanna, alienazione, abbandono alla vendetta divina. Il filosofo Giorgio Agamben ha ragionato molto su questo significato del termine “sacro” riallacciandosi al concetto, già in Walter Benjamin, di “nuda vita’’ secondo il quale uno Stato moderno potrebbe giungere a considerare un individuo o una collettività di individui come sprovvisti della loro “vita politica’’ (bios) e soggetti alla “mera disponibilità’’ della loro “nuda vita’’, e ciò per ragioni di sicurezza, o per aver ipoteticamente commesso dei crimini. È successo durante l’Olocausto con lo sterminio degli Ebrei. Potrebbe essere successo durante la pandemia? Sono interrogativi cui non è facile dare risposta. Scenda per il momento un sacro silenzio.

zibaldone.vincenzothoma@hotmail.com

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