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Dal fascismo all’antifascismo: le metamorfosi del fascismo

Al giorno d’oggi, i termini fascismo e fascista, nella maniera in cui vi si ricorre, sono svincolati da ogni riferimento storico. Di essi ci si serve per esporre al pubblico ludibrio l’avversario, di cui si denuncia il carattere infame e obbrobrioso. Se è l’eterno fascismo a spiegare ormai ogni patologia sociale, io allora suggerirei di applicare questa diagnosi all’intera storia dell’umanità, visto che il fascismo italiano, durato vent’anni, riesce ormai a spiegare tutto. 

Ogni campagna di condanna del fascismo che non tenga conto dei fascisti del ventennio, come italiani in carne e ossa di quell’epoca e non come categorie umane astratte (cercando però di andare al di là dei soliti nomi: Bombacci, Farinacci, Balbo, Starace…), fallisce un obiettivo importante: mettere in rilievo il calcolo, il conformismo, l’opportunismo che sostanziano un certo eterno “fascismo” di molti italiani.  Conformismo, opportunismo e trasformismo che molti fascisti del “prima” rivelarono pienamente, secondo me, proprio attraverso il loro antifascismo del “poi”. 

La verità storica esige che si dica che tra i fascisti del ventennio, dipinti tutti oggi come degli abbrutiti, vi furono anche personaggi di grande levatura come Giovanni Gentile, Luigi Pirandello, Filippo Tommaso Marinetti, Luigi Barzini padre, Giuseppe Volpi, Gioacchino Volpe, Alberto Beneduce, Giovanni Treccani, Pietro Mascagni, Guglielmo Marconi…   

Lo scrittore Vitaliano Brancati celebro’ il fascismo fino al 1934, traendone indubbi benefici. Poi divenne “non fascista” e quindi, nel dopoguerra, antifascista.  Numerosi sono i fascisti eccellenti che divennero nel dopoguerra antifascisti, come Giulio Andreotti, Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani, il giovane Eugenio Scalfari, Giorgio Bocca, Michelangelo Antonioni, Giuseppe Ungaretti, Luciano Salce, Renato Guttuso, Giulio Carlo Argan, Luigi Comencini, Elio Vittorini, Malaparte, Ungaretti, lo stesso Enrico Mattei. Quest’ultimo, se non altro, ebbe modo nel dopoguerra di criticare “il sottofondo fascista e parafascista, che sonnecchia, inconsapevolmente nell’animo di molti italiani”, antifascisti inclusi. E questa sua diagnosi mi appare illuminante. 

Numerosi sono coloro che, a fascismo storico morto e sepolto da tre quarti di secolo, si nobilitano gargarizzandosi con facili slogan di condanna antifascista ripetuti all’infinito. Non sarebbero stati costoro degli eccellenti fascisti? Io penso di sì. L’antifascismo di oggi, infatti, per molti dei nostri intellettuali appare una vantaggiosa professione proprio come il fascismo lo fu a suo tempo per numerosi italiani. Io considero infatti che i fascisti che divennero antifascisti alla caduta del fascismo, rimasero in fondo sé stessi: italiani opportunisti. 

Noi preferiamo porre al centro delle nostre nobilitanti crociate politico-moralistiche un per noi comodo e utile fascismo disincarnato, astorico; semplice sinonimo di male assoluto. In tal modo noi ricreiamo, usando parole in gran libertà, una nebulosa fascista dai contorni indiscernibili, che tutto è e quindi niente è. Sono convinto che questo fantasmagorico fascismo, assurto a categoria di male assoluto e che è oggetto delle nostre continue analisi, non sia altro che un’italianità deteriore che noi gabelliamo comodamente per fascismo. Ed è questa italianità che meriterebbe un’analisi approfondita. È il fascismo, categoria specifica, a far parte dell’italianità, categoria generale. Cerchiamo quindi di parlare dell’italianità, ossia cerchiamo di parlare anche di noi e non solo degli altri: i cosiddetti fascisti.  

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