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Caro Trudeau, oltre alla cannabis c’è di più

IL PUNTO di Vittorio Giordano

Pierre Elliott Trudeau, padre dell’attuale Primo Ministro, è stato un politico carismatico ed illuminato: ha governato il Canada per più di 15 anni (1968–1979 / 1980–1984) lasciando un segno indelebile. Il popolo canadese lo ha quasi idolatrato, alimentando un sentimento di euforia passato alla storia come “Trudeaumania”. Trudeau-padre, è passato alla storia per aver abolito la pena di morte, legalizzato il divorzio, depennalizzato l’aborto e l’omosessualità, ufficializzato il bilinguismo di stato (inglese e francese) e “rimpratriato” la Costituzione nel 1982 (che ha sganciato il Canada dalla Monarchia britannica) ispirando l’adozione della storica “Carta canadese dei diritti e delle libertà”. Questo, Trudeau-padre.

Trudeau-figlio, invece – Justin – rischia di passare alla storia per la legalizzazione della cannabis. Un provvedimento legittimo, che segna la fine del proibizionismo bigotto, intercetta lo spirito di un’epoca e probabilmente anticipa ancora una volta i tempi. Senza contare che gli anni di governo sono solo 3: fra 12 il paragone sarà più completo e attendibile. Ad oggi, però, è lo ‘spinello di Stato’ il provvedimento-caratterizzante del governo Trudeau. Ci auguriamo che non sia l’unico. Anche perché la marijuana resta una droga, leggera ma pur sempre una droga. Il Trudeau-pensiero, comunque, è condivisibile: visto e considerato che i canadesi fumano marijuana, tanto meglio fornirgli l’erba giusta, certificata, nelle dosi opportune, sottraendo alla malavita ingenti fondi, che serviranno a costruire scuole e ospedali. Del resto, succede già con le sigarette e gli alcolici. Le controindicazioni, però, restano allarmanti e irrisolte: a parte la babele dei regolamenti provinciali, comunali e perfino municipali, permangono le incognite sulla sicurezza stradale, sui rischi per la salute, sui controlli negli acquisti on line, sulla possibilità di farsi uno spinello nei condomini in affitto, sulle restrizioni a cui saranno sottosposti i dipendenti pubblici in posti di autorità, come poliziotti, pompieri, medici, insegnanti, giudici, ecc. Senza sottovalutare le contromosse della criminalità organizzata, che –  purtroppo – non batterà in ritirata senza colpo ferire: con le poche succursali aperte, la malavita proverà a reagire con una distribuzione più capillare, costi più abbordabili e soprattutto valori da sballo (THC) più accentuati. Una ‘via di fuga’ anche per gli under 18, banditi dalle boutiques di stato. È non è da sottovalutare neppure l’effetto-curiosità: ora che la cannabis è sdoganata, non saranno pochi quelli che faranno una capatina ingenua in filiale per provare l’ebbrezza dello spinello. Con il rischio che, da semplici avventori, si trasformino in assidui consumatori. Con lo Stato che, in questo caso, diventa complice di una dipendenza da sostanza stupefacente. Capitolo Québec. Legault ha scelto i suoi 26 Ministri (13 donne per la par condicio di genere), optando per un esecutivo tutto sbilanciato sulle periferie: visto che Montréal è rimasta strenuamente liberale, eleggendo solo 2 deputati cachisti, ci auguriamo che la scelta del neo Primo Ministro non sia una ‘rappresaglia’ per punire la metropoli. Si ricordi, Monsieur Legault, che Montréal era, e resta, il motore culturale, commerciale ed industriale della Belle Province. Una provincia che sarà meno bella, se la sua città di punta non verrà messa nelle condizioni migliori per esprimere tutto il suo potenziale. Un potenziale arricchito anche dalle sue varianti etniche. Come quella italiana, a cui il suo governo non ha voluto dare alcuna rappresentanza. Una scelta che ci auguriamo non sia stata dettata, anche questa volta, da ripicche o pregiudizi.

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