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Caos immigratorio e caos sociale

Il violento caos sociale che è esploso in Francia si presta a due diagnosi contrapposte. La diagnosi-sentenza dei buonisti, ossia della sinistra, è di assoluzione per i rivoltosi, visti come dei reietti che sono spinti alla sommossa da una sacrosanta collera contro la violenza poliziesca e dalla povertà in cui versano. La diagnosi-sentenza di destra è invece di condanna per queste masse che assaltano, saccheggiano, incendiano, distruggono, mosse dall’odio per la Francia, Paese dalle generose misure sociali, ma che esse considerano nemico. È stata la colletta fatta per la famiglia del poliziotto uccisore a far scendere in campo il giornalista del C. della S. Massimo Gramellini, il quale ha definito i sottoscrittori della colletta a favore del poliziotto: “amici del carnefice”. 

 

Ed ecco alcuni passi del suo giudizio: “C’è una Francia arrabbiata e spaventata che scende in piazza perché non ha più niente da perdere. E ce n’è un’altra, altrettanto arrabbiata e spaventata, che da perdere ha ancora parecchio, o almeno qualcosa, e allora si appoggia ai suoi difensori armati nell’illusione che la forza basti a rimettere ordine”.

 

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La diagnosi dello storico francese Patrice Gueniffey è all’opposto: “Oggi una parte importante della popolazione che per ragioni etniche religiose o forse sociali non si sente di appartenere al paese in cui vive, detesta la Francia, la cultura, la tradizione, la storia e il modo di vivere francese. […] Quarant’anni di politiche di immigrazione permissive hanno importato in Francia, nel cuore dell’Europa, un’altra cultura e un’altra civiltà. […] Esiste una popolazione arrivata coi suoi costumi, i suoi valori, che detesta la Francia, anche se ne approfitta grazie alle prestazioni sociali, agli assegni di disoccupazione, alle allocazioni familiari. Ma resta una popolazione che non si sente francese. […] In più la Francia, in balia del pentimento permanente per le sue colpe storiche, incoraggia coloro che la detestano e vogliono distruggerla”.

 

Cosa dire su questi due giudizi antitetici? Invito voi, immigrati italiani del Canada, a giudicare la cosa. Voi che avete conosciuto l’integrazione in un paese multiculturale. A noi italiani, non poi tanto tempo fa, l’opinione pubblica era smaccatamente ostile. Pensate solo a ciò che ci sarebbe successo se avessimo fatto ricorso all’arma delle manifestazioni, non dico violente ma rumorose, in difesa della nostra dignità. E la nostra dignità, in Québec, è stata, in un passato non proprio remoto, calpestata in numerose occasioni da giornalisti, autori, esponenti del potere politico, e dal popolino. 

 

In Italia, la rabbia e la collera sono presenti finora solo negli attacchi che singoli individui di origine straniera, fuori di sé forse perché in preda all’alcol, compiono periodicamente contro suppellettili e persone, poliziotti inclusi, sfasciando tutto. 

 

Sul tema dei pericoli futuri dell’attuale caos immigratorio italiano ho scritto quanto segue: “Immaginiamo i problemi che sorgeranno in Italia nel campo della coesione sociale – in quello dell’ordine pubblico essi sono già evidenti – in seguito a questa immissione incontrollata, caotica di ‘nuovi italiani’ in un Paese che ha avuto in Africa una fase colonialista molto limitata, breve e anche tardiva, e che non ha quindi gravi responsabilità morali, a questo riguardo, nei confronti d’intere aree del Terzo Mondo”. “In Canada, il rispetto delle regole apporta alla società multietnica un vincolo, un sigillo unificante”. Il Cittadino Canadese, qualunque sia la sua origine, si trova inquadrato in una cornice rigorosa e severa di diritti-doveri. Per molti versi in Italia, invece, il rispetto delle regole è di là da venire. E non saranno di certo i nuovi arrivati, tra cui numerosi sono i clandestini, ad insegnare il senso civico e le virtù della coesione sociale a un popolo che da quasi un secolo coltiva settarismo, esterofilia, individualismo anarchico e odi civili.”

 

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