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Basta ipocrisia e buonismo

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IL PUNTO di Vittorio Giordano

Siamo in guerra, una guerra subdola, spiazzante, strisciante, invisibile, che ci è stata dichiarata e che non possiamo più esimerci dal combattere. “È un pezzo di Terza Guerra Mondiale”, ha ammesso senza giri di parole Papa Francesco. “È un attacco alla pace di tutta l’umanità – gli ha fatto eco Padre Federico Lombardo, portavoce della Santa Sede – che richiede una reazione decisa e solidale per contrastare il dilagare dell’odio omicida in tutte le sue forme”. Anche per la Chiesa cattolica, che fa della carità e della misericordia il perno centrale del suo messaggio evangelico, la misura è colma. Il tempo degli stereotipi buonisti, del populismo da strapazzo, del politically correct ipocrita e della demagogia più ripugnante è finito. Basta porgere “cristianamente” l’altra guancia, mentre ci massacrano comodamente a casa nostra. Senza scadere in banali generalizzazioni o facili pregiudizi, questi criminali vanno stanati e sterminati. È imperativo difendere la nostra civiltà con le unghie e con i denti: nessun dialogo è possibile con i tagliagola e con chi spara all’impazzata, falciando cittadini inermi: giovani in una sala di concerto, clienti di un ristorante, tifosi in uno stadio. Stroncando la vita di persone ‘colpevoli’ di vivere secondo le leggi, i costumi, le libertà, gli stili di vita occidentali. Non tutti gli islamici sono terroristi, sia chiaro: la stragrande maggioranza è pacifica e tollerante. Ma tutti i terroristi sono islamici, o almeno si professano tali. Oriana Fallaci ci aveva messo in guardia: “Risvegliate le vostre coscienze, liberate la mente da stereotipi buonisti di uguaglianza”. I musulmani (quelli veri) facciano chiarezza, risolvano i dissidi interni tra Sunniti e Sciiti, prendano le distanze dai fondamentalisti, urlino la loro indignazione e isolino, schiaccino chi usa ideologicamente la religione per trucidare gli “infedeli”. L’Occidente cristiano, dal canto suo, la smetta di tergiversare, si svegli dal torpore e si attrezzi a combattere una guerra lunga e non convenzionale, ma necessaria per garantire la sopravvivenza della sua stessa civiltà. Una civiltà sotto attacco dall’11 settembre del 2001: la carneficina delle Torri Gemelle ha innescato una lunga scia di sangue arrivata fino a Parigi. In mezzo, stragi, attentati e morti: a Londra, Madrid, Copenaghen; ancora a Parigi, a Tolosa, a Lione; ma anche a Bali, Sharm, Il Cairo, Ankara, Tunisi, Beirut, Baghdad; in Nigeria, Somalia, Pakistan, Sudan, Kenya e Yemen. Sì, perché, oltre al fronte cristiano-ebraico, l’Isis è inferocito anche con gli Hezbollah, i miliziani sciiti libanesi che in Siria combattono al fianco di Assad. Una guerra che si frammenta, si atomizza, si frantuma, fino a trasformarsi in guerriglia, grazie alle cellule dormienti ed ai lupi solitari che forniscono ai fondamentalisti un esercito sempre pronto a colpire nel nome di Allah. Tante piccole micro-guerre, impossibili da prevedere e prevenire. Non ci sono due eserciti che si affrontano in campo aperto: basta una sola persona che costruisce un ordigno, supera i controlli di una metropolitana di una qualsiasi città europea e si fa saltare in aria. Serve un salto di qualità nelle strategie militari e di intelligence: 1. Urge un’alleanza duratura con la Russia e la Cina ed un dialogo costante con il mondo islamico lontano dal fondamentalismo; 2. I servizi segreti, anche attraverso la consulenza di esperti di settore e degli stessi giganti della telecomunicazione, devono setacciare i social network, sempre più amplificatori della propaganda terroristica, impedendo lo scambio di comunicazioni virtuali, ma soprattutto individuando i luoghi fisici da cui si collegano i fanatici dell’ISIS per procedere con interventi militari mirati dei reparti scelti. 3. Ma soprattutto bisogna smetterla di far finta di niente contro chi ci terrorizza nelle nostre strade costringendoci a non uscire più di casa, a sentirci impotenti, a chiuderci in un sentimento di paura. Altrimenti hanno già vinto loro. Lo dobbiamo a 2.000 anni di storia, ai sacrifici dei nostri nonni; ma soprattutto lo dobbiamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, al futuro della nostra civiltà. Lo dobbiamo alla nostra Cristianità.

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