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Balneazioni e balneari

Il linguaggio burocratico

Dai giornali: “La scadenza delle concessioni balneari è ufficialmente spostata al 31 dicembre 2024”, “Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha espresso alcune riserve sulla proroga di un anno delle concessioni balneari”.

A balneazione, termine che sa di prefettura, sarebbe difficile oggi rinunciare. Specie in periodo estivo. Altrimenti dovremmo rinunciare anche allo “stabilimento balneare”, sintagma che sembra assicurare permanenza e continuità alla vita italiana. Ogni anno, infatti, gli italiani ritrovano al solito posto lo stabilimento immutabile, con il suo bar, le sue cabine, i suoi ombrelloni, la sua clientela fedele e i suoi controlli all’entrata; non entra infatti chi vuole… Ciò prova che sulla sabbia, nonostante tutto, vi può essere permanenza. Se abolissimo balneazione perché termine troppo burocratico, al posto di “Divieto di balneazione” cosa metteremmo sul cartello: “Proibito bagnarsi”, “Proibito fare il bagno”, “È vietato nuotare”, “Non immergetevi”? I francesi hanno, fortunati loro, “défense de se baigner” che dice tutto.

Il linguaggio burocratico, di per sé stereotipato e plumbeo, e quindi non atto a suscitare simpatie in chi ha invece a cuore un linguaggio che sia vivo ed espressivo, non è interamente da buttar via. Infatti, certe formulazioni, sebbene nate aride nei corridoi del potere, hanno in seguito acquistato una certa fragranza. Sono oltretutto divenute insostituibili o quasi. Cosa mettere nei cartelli al posto di deiezioni? Mi riferisco al cartello che troviamo in molti giardini pubblici e che rivolge l’invito al proprietario del cane di “raccogliere le deiezioni”. Mettere “feci”? Ma chi di noi al giorno d’oggi si serve di una parola come “feci”, che evoca oltretutto un passato remoto, tempo verbale che al di fuori dei siciliani nessuno usa più? Proporre allora “bisogni”, “cacca”? Ma cacca è termine infantile che andrebbe bene per i cuccioli ma non per i cani adulti. Bisogno evoca il bisognoso, ciò che il cane domestico assolutamente non è. “Merda”, vocabolo comprensibile e inoltre d’attualità nell’Italia di oggi, suonerebbe un po’ sboccato se rivolto a un cane, il miglior amico dell’uomo. “Escrementi” sarebbe forse una parola più indicata. Ma ormai le deiezioni sono di casa. E quindi teniamocele.

Le “autorità competenti” sono una formula espressiva vincente in Italia, dove nell’alta amministrazione abbondano assenteismo e strafottenza, e anche concussioni, abusi, e omissioni d’atti d’ufficio. Nonostante il fatto che, nell’espressione suddetta, l’aggettivo “competente” indichi semplicemente una competenza per materia, per grado e per territorio, il povero Pantalone pensa inconsciamente, ingannandosi, che l’istanza sia competente per capacità. Ho scritto istanza, parola che ha un peso non indifferente nelle stanze del potere dell’Italia burocratica, affollate di istanze nei discorsi e nelle carte da bollo e nei fascicoli che accumulano polvere. Rinuncio a dare una definizione di “istanza”, perché le definizioni circoscrivono assai male questo ectoplasma linguistico che assume diversi volti, sovente accigliati, aggrottati, cipigliosi.

Il “burocratese” ossia il linguaggio burocratico è ingombro di parole ed espressioni recanti l’impronta dell’ufficialità e del potere. Esse appaiono conferire autorità a chi le usa. Anche nel parlare comune noi constatiamo una ricerca di distinzione linguistica in chi fa ricorso, ogni tanto, a termini del parlare burocratico. L’uso di un linguaggio ufficiale dà la gradevole sensazione di far parte del gruppo ristretto degli addetti ai lavori. La stessa passione per le parole americane, da parte degli italiani, è rivelatrice di tale tendenza perché gli inglesismi sono il nostro nuovo burocratese.

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