Sono nato a Roma. Heidegger direbbe che mi ci hanno “gettato”. A Roma posso dire di aver vissuto una parte importante dei miei anni: qui, ho mosso i miei primi passi, conosciuto le gioie e le pene dei primi amori, il sapore delle prime sconfitte, così come l’estasi delle prime soddisfazioni. Insomma, pur vivendo da anni a Montréal, potrei sempre dire che Roma è la mia città. No? Eppure…
Eppure, la mia è una romanità particolare, complessa, tormentata. E sì, perché confesso di aver sempre avvertito un sentimento di estraneità, trasformatosi, poi, nella necessità di coltivare e studiare una sorta di non-appartenenza alla mia città. Questo, il mio esserci romano. Rispetto a Roma, mi sono sempre percepito “fuori”, latinamente extra, una sorta di meteco sui generis, di forestiero dalla postura straniata, come di chi fosse riluttante al disegno di addomesticare un luogo e ciò che lo caratterizza.
Roma, l’ho camminata sempre a passi lunari, nell’a tentoni della sua meravigliosa e abbacinante oscurità. L’ho avvertita come un miraggio nel deserto dell’esistenza. Così mi è sempre stata: l’esilio perfetto, consustanziale al mio esistere. Un esilio che avverto ben più radicale rispetto a quello dell’oltreocianarmi nell’algido altrove nordamericano della mia attualità.
Mi sono interrogato sulla ragione di questo pormi nei confronti di Roma, e sospetto si tratti dell’espressione di una tensione amorosa. Amo Roma: eccolo, il palindromo che mi accompagna da tempo. Ora, il problema è: si può amare ciò cui studiatamente ci si rifiuta di appartenere? Qui, dovremmo esprimere qualcosa sull’Amore. Che cos’è? Che cosa significa “amare”? Allora, mi spingo a dire che amare significa accettare l’assenza, la mancanza di chi si ama. Io credo che dovremmo sempre avvertire la mancanza di chi amiamo. Anche quando ci dorme a fianco. Soprattutto quando ci dorme a fianco. Non dare mai per scontata la sua “presenza”. Tramutarla in “assenza” e continuamente desiderare chi si ama. Amo Roma perché mi è sempre mancata, anche quando avrei potuto sentirne il profumo sulla pelle.
Sono tornato da qualche giorno nella terra dalle centinaia di migliaia di laghi, dai fiumi che fingono l’oceanità, dalle foreste labirintiche. Sono tornato a Montréal, dopo qualche settimana a Roma.
Il fatto è che Roma non mi mancherà certo di più di quanto mi sia mancata ieri, mi manchi oggi e mi mancherà domani. Perché amare è giustiziare il Tempo in un istante eterno.