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Scuola dell’estero e sentimento d’italianità  

“Gl’italiani vanno al Nord in cerca di soldi; al Sud in cerca dell’anima. All’estero smettono di essere meridionali o settentrionali e diventano solo italiani (indistintamente, nel pregiudizio altrui, geni e farabutti)”. (Pino Aprile)

La scena politica italiana ha un impatto sulla nostra realtà di italiani trapiantati all’estero. Essa incide sulla nostra immagine, ossia sulla percezione che gli altri hanno di noi e sulla nostra stessa autopercezione.

“Claudio, se io vivessi in Canada al posto tuo non me la prenderei tanto, come fai tu, per le storture italiane. Io mi sentirei canadese.” E naturalmente – verrebbe da commentare – in Cina, questo cittadino italiano, a parole mondialista e cosmopolita, si sentirebbe cinese anche non parlando la loro lingua… Nel corso degli anni, ho udito almeno un paio di volte un simile invito, rivoltomi dal tipico italiano della penisola. Il quale ignora che l’estero, paradossalmente, rafforza le radici antiche facendo emergere in noi espatriati quel senso di dignità collettiva e quel sentimento unitario che scarseggiano invece nel Belpaese. Ma che sono ben presenti in noi, anche come difesa contro gli stereotipi che all’estero affliggono la nostra italianità. 

L’estero è una scuola che chiarisce le idee e smentisce tanti preconcetti e ruoli prestabiliti. All’estero noi non siamo più divisi tra italiani del nord e italiani del sud. Noi “italiani all’estero” abbiamo una visione delle cose che differisce da quella che avete voi, italiani della penisola. Il fatidico distacco dalla terra di nascita con il trapianto in un’altra terra hanno fatto emergere la Patria, anche in chi fino allora era stato un italiano tipico, legato soprattutto al proprio clan, parrocchia, partito. 

Inutile illudersi, noi espatriati o figli di espatriati rimarremo ancora per molto tempo, qui in Canada, “les Italiens”, “the Italians”, fatti bersaglio, ancora in un recente passato, di stereotipi ridicoli e avvilenti. Cui l’Italia apporta il suo contributo in positivo e in negativo: la Ferrari, la moda, il design, l’opera lirica, il Vaticano, il cibo, sono le ghirlande di quest’immagine, in cui campeggiano però anche cardi e mele marce, tra cui il culto della furbizia, l’inaffidabilità, la faziosità, l’opportunismo, le mafie. Vi è poi il teatrino politico italiano con governi che entrano ed escono di scena come in una comica di Ridolini o di Charlot. Ciò che auguriamo quindi al nuovo governo è, innanzitutto, che duri. E faccia le cose sul serio contro illegalità, corruzione, disordine, burocrazia, mafie. 

La nostra situazione, in Québec, è particolare. Il Canada e il Québec sono laboratori di multiculturalismo, ma sono anche un’arena di conflitti linguistici e culturali tra i due gruppi dominanti: gli “inglesi” e i “francesi”. Qui in Québec, perché confrontati ai due modelli identitari opposti l’uno all’altro, noi italiani tendiamo a conservare a lungo la lingua e la cultura d’origine. Noi siamo e rimaniamo in una buona misura italiani, ma in una maniera particolare a causa dell’allargamento della coscienza, e dei legami che abbiamo con più mondi, e della diversità di lingue e culture entro cui ci muoviamo. I figli nati all’estero e i matrimoni misti sono un’altra componente della nostra complessa realtà socio-culturale di esseri trapiantati.

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