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Italia, la nuova scena politica

Io spero che il nuovo governo della penisola duri e che combatta l’aspetto quasi caricaturale di una certa italianità deteriore, espressa purtroppo con disinvoltura da molti abitanti dello stesso Stivale. Mi auguro che si attenui lo strano livore antitaliano che anima, nella penisola, le élite intellettuali progressiste, che amano incondizionatamente il mitico, fantomatico Diverso.

 

Noi all’estero non condividiamo simili sentimenti. Ad esempio, i colori della bandiera italiana facenti parte del simbolo di Fratelli d’Italia, il partito attualmente al potere, non hanno scatenato in noi il sospetto di un’involuzione patriottarda di marca missina o addirittura fascista; come è avvenuto per nostri progressisti eternamene in armi, in cimitero, contro il cadavere fascista. Il tricolore è molto presente tra noi espatriati. E quindi esso non suscita alcun allarme nelle “Little Italy” del Nord-America, ed anzi fa vibrare in noi la corda della solidarietà nazionale.

 

I veri fascisti sono tutti morti. Morto e sepolto il fascismo sarebbe ora di seppellire l’antifascismo strumentale, che – per dirla tutta – condivide con certi aspetti del fascismo-regime un’italianità deteriore fatta di calcolo, di opportunismo, e di un furbo moralismo.

 

Mi azzardo a sperare che l’operare di Giorgia Meloni abbia l’effetto di un riuscito esorcismo nei confronti delle sedute spiritiche che la Sinistra, dalla fine della seconda guerra mondiale, continua a indire intorno ai tavoli mediatici, convinta di udire ogni volta i famigerati colpi dall’al di là rivelanti la presenza, tra noi, dei sosia di certi morti di quel periodo tramontato incarnanti il male assoluto.

 

Urlando e balzando in piedi sul tavolo i partecipanti alla seduta spiritica antifascista annunciano tremanti, ogni volta, di udire i colpi tremendi. Questa volta, inorriditi, è sembrato loro di udire i minacciosi colpi provenire dall’intero governo: il governo Meloni.

 

Ho trovato rinfrescante l’invito della Meloni di potersi rivolgere a lei usando sia il maschile che il femminile della sua carica: “il presidente”/ “la presidente”. Di conseguenza si può dire “il primo ministro”/“la prima ministra”, “il presidente del consiglio”/“la presidente del consiglio”, “il premier”/“la premier”. Ciò è valido sul piano linguistico, ed è incoraggiante sul piano umano perché toglie d’imbarazzo chi è incerto tra il maschile e il femminile. Per essere coerenti nelle scelte e non fare confusione, bisognerà solo ricordarsi ogni volta, quando ci si sta indirizzando a lei, se si è usato fino allora il genere femminile o invece il genere maschile. La complicazione è tutta qui.

 

Il presidente del consiglio italiano, che per la prima volta nella storia d’Italia è un essere di sesso femminile, offre alle altre donne un esempio straordinario di successo. Il messaggio de il/la presidente Meloni è “noi donne possiamo”. L’insegnamento che la presidente del Consiglio dà agli uomini “macho” è chiaro e forte: noi donne siamo pari, per capacità, a voi maschilisti presuntuosi. La Meloni dà tacitamente una lezione anche a certe femministe cariche di livore e di complessi, alle quali le parole maschili appaiono dotate di vistosi attributi sessuali maschili da asportare di netto.

 

A causa del suo carattere esagerato e caricaturale, questo femminismo eternamente in guerra contro l’uomo crea una sana reazione di rigetto in gente normale che avversa gli eccessi e che vede in certe femministe piene di aggressività antiuomo la copia femminile di uomini incattiviti. Giorgia Meloni offre invece l’esempio di un’ammirevole femminilità, che va a vantaggio di tutte le donne, femministe comprese.

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