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Gas, perché l’asse tra Putin e Erdogan non serve all’Europa

(Adnkronos) – La mediazione della Turchia per sciogliere l’intrigo delle forniture di gas russo all’Europa, per ora, è un’idea di Putin e, soprattutto di Erdogan. Lo schema sarebbe lo stesso seguito per sbloccare la partenza delle navi cariche di grano dai porti dell’Ucraina, rendendo centrale Ankara come snodo per salvare il minimo consentito di relazioni tra la Russia e il fronte occidentale.  

Il gas, però, non è il grano e, soprattutto, il rapporto di fiducia che c’è tra Russia e Turchia non è lo stesso che c’è tra la Turchia e il resto dell’Europa. Agevolare, seppure attraverso un hub in Turchia, il flusso di gas verso l’Europa e quello contrario di denaro dall’Europa verso la Russia vorrebbe dire vanificare tutti gli sforzi fatti finora con le sanzioni. Non solo, vorrebbe dire consegnare a Erdogan un potere che quasi nessuno in Europa vuole vedere finire nelle sue mani. Per una serie di ragioni che affondano negli equilibri della geopolitica, primo fra tutti il potere personale e i problemi con la democrazia che Putin e Erdogan condividono.  

Quello della Turchia, membro della Nato ma fedele alleato della Russia, l’unico paese in Europa che ancora accoglie le aziende russe e il capo del Cremlino come un grande statista, è un ruolo troppo ambiguo perché la convenienza economica o i calcoli di qualche Stato membro possano spingere l’Unione europea ad abdicare.  

I rapporti tra Putin e Erdogan sono invece sempre più saldi, soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Putin ha bisogno di Erdogan per rompere il suo isolamento sulla scena internazionale e interagire, seppure attraverso una mediazione onerosa, con l’Europa. Erdogan ha bisogno dell’aiuto di Putin, soprattutto economico, per mantenere il potere in vista delle elezioni del prossimo anno. Se è vero che la Turchia sta facendo la sua parte per sostenere militarmente l’Ucraina, è vero anche che le relazioni economiche, commerciali e diplomatiche con la Russia non sono mai state così forti. Più che le parole a dirlo sono i numeri. Due su tutti. Gli scambi commerciali hanno già superato i 50 mld di dollari, dopo il record del 2021, a quasi 35 mld; negli ultimi due mesi sarebbero più di 200 le nuove aziende russe registrate in Turchia.  

Per tutte queste ragioni, l’ipotesi che possa essere proprio il gas da rivendere agli europei la chiave per risolvere, insieme, parte dei problemi dei russi e parte dei problemi dei turchi, dovrebbe sconsigliare all’Europa di avallare i piani di Putin e Erdogan. D’altra parte, l’estrema lentezza con cui a Bruxelles si procede verso decisioni efficaci sull’energia lascia pensare a Mosca, e a Ankara, di avere ancora margini di manovra. Che, stando alle parole di un esperto come Simone Tagliapietra, think tank Bruegel e Università Cattolica, interpellato dall’Adnkronos, non ci sono. “Non ci sono le infrastrutture, non c’è mercato, nessun Paese sta pensando di ricomprare il gas russo. La questione non si pone neanche, se non per creare confusione e per cercare di dividere ancora di più il fronte occidentale”. (di Fabio Insenga) 

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