Si respira aria di festa tra i corridoi del Collège International Marie de France, il liceo presso il quale insegno italiano come lingua straniera da ormai più di venti anni, qui a Montréal. La maggior parte degli studenti saluta la fine di quest’anno scolastico ritrovando il piacere di sfoggiare un sorriso non più in clausura antipandemica.
Il peggio sembra passato, e la didattica a distanza è solo un cattivo ricordo. Con una certa commozione, saluto la partenza dei miei alunni più grandi alla volta dell’esperienza universitaria. Sono giovani di varie origini, con i quali si è costruita insieme un’italianità meravigliosa, fatta non solo di competenze linguistiche di altissimo livello, ma anche di cultura, di analisi dei problemi del nostro tempo, di speranze coltivate malgrado i venti di guerra, di timori da fugare con la promessa dell’impegno, della collaborazione, dell’ascolto e del dialogo. Bando ai professori! Che brutta parola! Abbiamo studiato insieme: io, eternamente studente tra studenti; loro, ulissi coraggiosi tra i marosi di una forma espressiva nuova e affascinante: la lingua del sì. E sono tutti approdati con successo all’ “itaca’’ di una casa che non sapevano di poter possedere.
Come ogni anno, mi chiedo come sia stato possibile ottenere tutto questo: passare da quel “ciao!’’ dei primi tempi al “cosa pensi?’’ di oggi, portarli ad arpeggiare la complessità del loro universo sentimentale al suono di corde così diverse dalle loro lingue materne e a far sì che le avvertissero proprie, connaturate, innate. Mi pervade ogni volta il senso della magia; il loro eloquio, la loro scrittura, la loro comprensione sono il risultato di un processo alchemico di cui io sono solo un meccanismo trascurabile; ho soltanto acceso un piccolo fuoco, una mattina d’autunno, senza pensare che questi giovani sarebbero divenuti un meraviglioso incendio di sapere linguistico. Non smetto di commuovermi davanti al loro “congiuntivo imperfetto’’ (così perfetto!), orchestrato a precisi contrappunti di “condizionale’’!
Consentitemi di dire che il controllo della loro “consecutio temporum’’ non sfigurerebbe in uno di quei programmi-pollaio della televisione nazionale. Rivedo nella mente i fotogrammi dei nostri dibattiti sul Bello, su una sua presunta “oggettività’’ e riconoscibilità, e gli accesi pareri contrarî, a suon di argomentazioni di matrice filosofica a difesa di una o dell’altra tesi. E poi le discussioni infervorate sulla “correttezza politica’’ e l’immersione in analisi etimologiche di termini che non sembra, oggi, più lecito pronunciare. Tutto questo nella lingua di Dante, in ore di classe così diverse dalla postura tecnologico-matematica che la scuola mondiale sembra, di questi tempi, privilegiare, con la convinzione che solo gli ingegneri e chi si occupa d’informatica possono esser sicuri di trovare un impiego.
Daisy, David, Justin, Jason, Zélie e innumerevoli altri: vi ringrazio di tutto cuore per avermi reso una persona migliore con il vostro entusiasmo!
Buon viaggio, ulissi straordinarî! Il mondo è nelle vostre mani!