La statistica è inquietante: in Italia, ogni due giorni, chi opera al servizio dell’educazione e dell’istruzione dei nostri figli riceve le attenzioni manesche di genitori improvvisamente… preoccupati dei progressi accademici dei loro pargoli. A volte, si organizzano vere e proprie spedizioni punitive nei confronti di qualche insegnante forse un po’ troppo fiscale (“non sia mai!’’) con i voti e i giudizî. Ovviamente, tralasciamo in questa sede il fenomeno degli studenti che indirizzano allegramente all’insegnante malcapitato di turno proiettili schizzati da una pistola ad aria compressa o qualche sedia volante. Insomma, in una società in cui troppo spesso i genitori preferiscono farsi compagni di giochi e babbi Natale tutto l’anno, rinunciando a indicare alla loro prole quei valori fondamentali del vivere insieme, è la scuola a ritrovarsi chiamata a tappare gravi falle educative, correndo, poi, il rischio di processi sommarî e pericolosi per l’integrità dei suoi operatori.
Sospettiamo, a dire il vero, che la nostra personale indignazione incontri il sostegno solo da parte di quelli, come noi, nati ai tempi in cui alla sculacciata del maestro sarebbe ben potuta seguire quella della mamma, restìa ad accordarci un insperato conforto. Ma oggi i genitori che possono giungere a diffamare degli insegnanti (questo, nella meno cruenta delle possibilità) sono quelli della generazione dei Millennials, nati tra il 1980 e il 1996, abituati a socializzare dietro a un telefonino, ossessionati dalla loro immagine, invasati di selfies da postare (ma che orrore, questo verbo!) sul medium sociale di preferenza, dediti allo sharenting, un neologismo imbecille con cui si descrive l’azione di pubblicare sui social le immagini dei proprî figli. Dietro al giovane che insulta un docente, lo pugnala, gli spara e via discorrendo urla l’assenza di una guida, si avverte la mancanza di provvidi timonieri che sappiano indirizzare il loro… giovane veliero.
Troppo facile, punire un adolescente. Più complicato è cercare di comprendere le ragioni di certi comportamenti. Quasi un secolo fa, per un periodo che andò dal 1929 al 1944, il dicastero preposto a regolare il mondo della scuola era detto Ministero dell’Educazione Nazionale. L’accento sul momento squisitamente educativo del fenomeno dell’insegnamento sembrava essere messo in risalto rispetto a quell’odierno freddo concetto di istruzione che fa pensare a un processo meccanico di trasferimento di nozioni che non reca necessariamente in sé l’apprendere a vivere in società, ad uscire dall’oscurità dell’individualismo.
Ripristinare una scuola che sia davvero comunit‡ educativa è sempre più difficile in un contesto in cui, anziché collaborare, molte famiglie si pongono in aperta ostilità verso gli insegnanti. La mancanza di fiducia reciproca e il ribaltamento dei ruoli – con genitori pronti a difendere i figli a prescindere, anziché affiancare la scuola nel percorso educativo – creano un clima di tensione che ostacola ogni progresso. L’educazione dovrebbe essere un impegno condiviso, ma oggi sembra ridotta a un conflitto di interessi. Finché famiglia e scuola continueranno a remare in direzioni opposte, il rischio sarà quello di lasciare i giovani senza una guida solida, incapaci di affrontare le sfide della società con responsabilità e rispetto.