Davanti al sole inginocchiato all’orizzonte, quando i suoi raggi cedono il proscenio al fascino lunare della sera, chi di noi non ha pensato a quanto bella sia la Natura? Osserviamo le ali di una farfalla farsi varco tra le prigioni della crisalide; scopriamo, improvviso, un germoglio sulla nudità di un ramo a giustiziare l’inverno; ascoltiamo il pianto accorato di una nuova vita che controcanta le lacrime di gioia della madre. Poche immagini, tra le innumerevoli possibili, per suggerire la meravigliosa armonia di cui siamo testimoni. Eppure, non avremmo l’idea dell’armonia senza quella, ad essa opposta, della cacofonia, dello stridìo di certi incastri infelici, di ciò che non ‘’suona bene’’. In una parola, dell’assurdo. Ecco che, allora, ci sorprende l’impermanenza di ciò che ci dà gioia, la consapevolezza di dover dire addio a chi si ama, l’aggressione di un nuovo desiderio quando credevamo di aver raggiunto un equilibrio nella soddisfazione di una precedente brama. Perché, riconosciamolo, esistere è proprio questo: un forsennato appetito di vita davanti alla fuggevolezza di ogni orizzonte finale. E si va avanti così, in un incessante oscillare tra meraviglia e terrore. Aristotele doveva averlo capito bene quando faceva derivare l’impulso filosofico a quel thauma cui si dovevano riferire non solo lo stupore davanti alla Bellezza, ma altresì lo sgomento nella coscienza della sua caducità.
Porsi il problema di sfuggire all’assurdo ha spinto l’umanità all’idea di coltivare una fiducia accresciuta nel potere della mente, imparando a prendere le distanze dalla cacofonia dell’esistenza e insegnandoci a vivere… positivamente. Ancora oggi, predicatori invasati e impomatati venditori di felicità ci lusingano con promesse di liberazione dal giogo del masso che inevitabilmente ricade lungo il pendio, trascinandoci nel baratro. Il ‘’pensiero positivo’’ ci illude, per dirla con Montale, di aver trovato ‘’la maglia rotta nella rete che ci stringe’’, di aver fatto morire la morte. Ma è proprio così? Heidegger ci consigliava di guardarlo dritto negli occhi, quell’ospite inquietante che è il nichilismo. Inutile, volerlo dimenticare con singulti consolatorî e ingannevoli. Tanto vale accoglierlo e patirlo con il nostro prossimo. C’è un momento in cui anche il mare accetta la furia dell’onda, la roccia non si ribella al vento ma vi si adatta rivelando facce nascoste, il guardiano recupera la palla che ha violato la porta e la rimette al centro per una nuova partita.
Dobbiamo accettare quella pietra rotolante, impossibile da fissare sulla vetta e, insieme, ricondurla in alto. Fare armonia dell’assurdo. Insieme.
E scoprirci ginestre sprezzanti questa lava di granitiche quanto inconcludenti verità.