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Demografia, a StatisticAll una lettura positiva sull’invecchiamento della popolazione

(Adnkronos) – Con l’Italia in prima linea nel processo di invecchiamento globale, il nostro è un paese ‘pioniere’, ci troviamo in un territorio inesplorato, privo di modelli precedenti da cui trarre insegnamento. Caratterizzata da livelli estremi in tutti i suoi indicatori demografici, l’Italia offre frontiere sconosciute di sperimentazione per affrontare l’invecchiamento a tutti i livelli, dall’individuo alla famiglia, dai territori alla società. Sono queste le ragioni che hanno spinto le eccellenze della ricerca sull’invecchiamento in Italia ad impegnarsi nel Programma di Ricerca Age-It (Ageing Well in an Ageing Society), finanziato dal PNRR, che mira a rendere il Paese un punto di riferimento scientifico in grado di proporre soluzioni anche per altre società che stanno rapidamente invecchiando. Sono i temi trattati dal talk ‘Think Demography, Think Positive! Una lettura positiva dell’invecchiamento della popolazione’, svoltosi nella mattinata del terzo giorno di StatisticAll, il festival della statistica e della demografia.  

Per Elisabetta Barbi, professore di Demografia presso il Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Roma La Sapienza e direttore della rivista scientifica Genus – Journal of Population Sciences: “Chi si occupa di longevità e sopravvivenza, non può essere che positivo. È vero che anche in questo campo c’è chi ha un atteggiamento più preoccupato, più scuro e cupo, perché i guadagni, ad esempio, sono stati inferiori a quelli della generazione precedente. Io però mantengo un atteggiamento razionalmente positivo per vari motivi: diversi paesi a bassa mortalità hanno attraversato periodi di stagnazione, ma poi di recupero. Poi, è importante anche il ruolo della sopravvivenza selettiva. C’è sempre un sottogruppo di persone che, per caratteristiche genetiche o altro, guidano l’estensione della longevità. Inoltre, ci aspettiamo che la speranza di vita aumenterà quando aumenterà la mortalità in età avanzata, il che ce lo dice l’analisi statistica del profilo dell’età per mortalità”. 

“A età estreme – spiega la Barbi – il tasso di mortalità non aumenta più, diventa stabile. Il che fa capire che i progressi contro la mortalità aumentano perché non diminuisce il processo di invecchiamento, che anzi sembra non rallentare. Ci aspetta una crescita del numero degli anziani: non bisogna preoccuparsene, ma occuparsene. Spostare l’età della pensione non significa necessariamente lavorare di più. La fase lavorativa spesso è schiacciata,specie per le donne, tra la cura dei familiari e le aspettative lavorative. E’ necessario investire sulla riqualificazione dei lavoratori, di modo che persone con esperienza e persone giovani con bagaglio tecnologico possano lavorare insieme. Penso alle innovazioni e ai progressi sul campo della biomedicina: c’è chi è talmente visionario da parlare della morte della morte o, penso ancora, all’innovazione nel campo tecnologico per l’assistenza sanitaria e per l’accesso ai servizi sanitari, cui tutti non hanno accesso. È vero che abbiamo un periodo di grandi trasformazioni demografiche, ma anche tecnologiche, che sono più veloci. Se sapremo implementare le giuste misure, le prospettive non possono che essere positive”.  

Marco Marsili, responsabile del Servizio Registro della popolazione, statistiche demografiche e condizioni di vita nel contesto della Direzione centrale delle statistiche demografiche e del censimento della popolazione dell’Istat, sottolinea come l’istituto “non si è mai iscritta al partito dei pessimisti, ma neanche a quello degli ottimisti. Di certo in Italia si considerano bambini coloro fino ai 14 anni e gli anziani coloro sopra i 65 anni. In questa situazione ci sono elementi positivi: il fatto che la popolazione diminuisca non è necessariamente negativo. Abbiamo una situazione più problematica dai 65 anni in poi, con la possibilità però che l’Italia venga vista come modello di riferimento, in quanto si sta cercando di capire se siamo in grado di rispondere alle sfide che ci aspettano. Sotto questo profilo siamo sotto gli occhi del mondo. Quanto sento parole come invertire la tendenza demografica, mi viene l’orticaria, perché per fare questo, ci vorrebbero presupposti insostenibili. Sugli anziani il tema centrale è la speranza di vita. Generalmente ha un effetto plateau, che però non è scontato. Per far crescere la popolazione servono gli stili di vita e i contesti in cui si vive. Il contesto è quello sanitario-previdenziale. Una chiave di lettura per il futuro è investire nell’aspetto sanitario. Siamo uno dei paesi con uno dei più bassi tassi di attività e di occupazione, ma margini di manovre ce li abbiamo. Un paese democratico deve interfacciare il mondo della scuola con quello dell’impresa, tutto deve essere giusto, ma non aspettiamoci cambi di tendenza nel breve termine”.  

Anna Paterno, professore di Demografia presso l’Università di Bari Aldo Moro e vicepresidente dell’Associazione Italiana per gli Studi di Popolazione (Aisp) spiega come la presenza straniera possa contribuire a rallentare l’invecchiamento della popolazione: “Abbiamo il compito di approfondire la tematica e dimostrare la grande opportunità rappresentata dalla presenza straniera di contribuire a rallentare invecchiamento e declino della popolazione. La domanda di fondo è: quanti stranieri sono necessari per questo? Dal 2001 il dibattito si è molto ampliato. Gli stranieri arrivano principalmente in età giovane. Si propongono nel contesto economico come lavoratori e nel contesto demografico come genitori. D’altra parte c’è il discorso legato a salute e sopravvivenza. Non possiamo fare paragoni con gli stranieri, a causa dell’effetto salmone: chi tende a invecchiare generalmente fa ritorno nel proprio paese, quindi il loro decesso non viene registrato in Italia. Generalmente chi emigra lo fa in buone condizioni di salute. L’importante risorsa rappresentata dagli stranieri ha bisogno di essere valorizzata. Abbiamo l’idea di tracciare le strade da seguire. Chi si occupa da tanto tempo di migrazioni non fa che dire da tanto tempo di una politica che va dalla gestione dei flussi, caratterizzata da sanatorie e regolarizzazioni non con una periodicità fissa, ai decreti flussi. È necessario passare a una gestione delle presenze. Un periodo temporale di dieci anni per diventare cittadini italiani è troppo lungo. Anche lo ius scholae è un provvedimento assolutamente necessario, in quanto i bambini sono nati e scolarizzati qui. Bisogna riconoscere, inoltre, i titoli di studio e le professionalità acquisiti nei Paesi di origine, per poter permettere loro di contribuire al sistema fiscale in modo migliore. I ragazzi subiscono già difficoltà di inclusione e sappiamo che questi ragazzi hanno sogni di raggiungere determinati obiettivi”.  

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