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Sinwar morto a Rafah, leader Hamas ucciso “per caso”. Netanyahu: “Israele non ha finito”

(Adnkronos) – Israele non sapeva che Yahya Sinwar fosse lì. Il raid in cui è stato ucciso il leader di Hamas risale a mercoledì. I combattimenti per entrare in quell’edificio di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza, sono stati diversi e per questo è stato ordinato un bombardamento che ha fatto crollare la struttura. E’ stato solo dopo che i soldati israeliani sono andati a ispezionare tra le macerie, si sono accorti che “uno dei terroristi uccisi assomigliava molto a Sinwar”. Poi i test sul corpo, il Dna, e sull’identità della vittima nella serata di giovedì non ci sono stati più dubbi. 

L’establishment di sicurezza israeliana sapeva in realtà da mesi che Yahya Sinwar si nascondeva nel sobborgo Tel Sultan di Rafah, hanno riferito media ebraici citati dal Times of Israel, secondo cui si riteneva che il leader di Hamas si nascondesse in un tunnel sotterraneo e che per gran parte del tempo fosse con i sei ostaggi, i cui corpi l’Idf ha recuperato a fine agosto dopo la loro esecuzione. Sulla base di tutte queste informazioni, l’Idf aveva annunciato allora un’operazione a Tel Sultan che, secondo i media ebraici, mirava a eliminare la brigata di Hamas, mentre il vero scopo era quello di eliminare Sinwar. Durante quell’operazione, le Forze di difesa avevano preso di mira una riunione di operativi di Hamas, credendo che il leader del gruppo fosse tra loro. Tuttavia, dopo aver identificato i corpi dei 26 terroristi uccisi nell’attacco, si era capito che tra loro non c’era Sinwar. 

Dal 6 maggio scorso a Rafah è iniziata un’offensiva israeliana dopo l’esortazione dei militari israeliani alla popolazione di civile a spostarsi verso la ‘zona umanitaria’. Un servizio di fine settembre della Nbc la descrive come una città ormai non più abitabile, con scene di “distruzione assoluta”. Per i militari israeliani tutta Rafah era piena di tunnel. A sud di Rafah c’è il ‘corridoio Philadelphi’, la striscia di terra che corre lungo il confine con l’Egitto, diventata nei mesi scorsi uno dei ‘nodi’ nei difficili negoziati per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. 

 

Dopo la conferma da parte di Israele dell’uccisione del leader di Hamas, il gruppo è rimasto in silenzio. Non sono circolati messaggi ufficiali del gruppo che in precedenza, aveva riferito l’agenzia Shehab, aveva parlato della morte del leader. L’agenzia sosteneva che Sinwar “è morto in battaglia, senza fuggire”, raggiunto da proiettili alla testa e al petto. “La sua ultima immagine è una dichiarazione, non è stato trascinato via dai tunnel o catturato in disgrazia”, aveva affermato l’agenzia vicina ad Hamas.  

 

“Il male ha subito un duro colpo oggi”, ha detto il premier israeliano, Benjamin Netanyanu, sottolineando che “la guerra non è finita”. “Hamas non resterà al potere”, ha incalzato Netanyahu sottolineando: “Noi non volevamo insistere con la guerra”, ma “la guerra non è finita” e “ci sta costando moltissimo”. “Hamas non resterà al potere”, ha incalzato il premier israeliano aggiungendo che “il conto è stato regolato” da parte degli “eroici soldati di Israele”. “Questo è l’inizio del dopo Hamas, e questa è un’opportunità per voi, residenti di Gaza, di liberarvi finalmente dalla tirannia di Hamas”, ha affermato. 

“Ai terroristi di Hamas dico: i vostri leader stanno scappando e saranno eliminati. Mi rivolgo a tutti coloro che tengono i nostri ostaggi: chiunque deponga le armi e restituisca i nostri ostaggi, gli permetteremo di andarsene e di vivere. Chiunque faccia del male ai nostri ostaggi, avrà la testa sporca di sangue e ne risponderà”, ha dichiarato quindi il premier israeliano. 

“La restituzione degli ostaggi è un’opportunità per raggiungere tutti i nostri obiettivi e avvicina la fine della guerra”, ha detto ancora Netanyahu parlando di “guerra di resurrezione” per Israele. Si tratta delle stesse parole che, secondo indiscrezioni dei giorni scorsi dei media israeliani, il premier israeliano aveva proposto durante una riunione di governo il 7 ottobre scorso, suggerendo di cambiare il nome dell’operazione da ‘Spade di Ferro’ a ‘Guerra di resurrezione’.  

 

“Ai miei amici israeliani, non c’è dubbio che questo sia un giorno di sollievo e ricordi, come le scene viste negli Usa dopo che il presidente Barack Obama ordinò il raid per uccidere Osama bin Laden nel 2011”, ha affermato il presidente americano, Joe Biden, nella dichiarazione sull’uccisione di Sinwar. La giornata di oggi “dimostra ancora una volta che nessun terrorista, in nessuna parte del mondo, può sfuggire alla giustizia, non importa quanto tempo ci voglia”, ha quindi sottolineato Biden ricordando che “con l’aiuto della nostra intelligence, l’Idf ha perseguito senza sosta i leader di Hamas, stanandoli dai loro nascondigli e costringendoli alla fuga”. “Raramente – ha affermato il presidente americano – si è assistito a una campagna militare di questo tipo, con i leader di Hamas che vivevano e si muovevano in centinaia di chilometri di tunnel, organizzati in più piani sotterranei, determinati a proteggersi senza curarsi dei civili che soffrivano in superficie”. 

“C’è ora l’occasione per un ‘day after’ a Gaza senza Hamas al potere e per un accordo politico che assicuri un futuro migliore per israeliani e palestinesi”, ha detto quindi Biden. “Sinwar era un ostacolo insormontabile per raggiungere tutti quegli obiettivi. Questo ostacolo non esiste più. Ma resta molto lavoro da fare””, si legge ancora nella nota di Biden ribadendo “Israele ha tutto il diritto di eliminare la leadership e la struttura militare di Hamas. Hamas non è più in grado di sferrare un altro 7 ottobre”. 

“Con la morte di Yahya Sinwar viene meno il principale responsabile del massacro del 7 ottobre 2023. La mia convinzione è che ora si debba iniziare una nuova fase: è tempo che tutti gli ostaggi siano rilasciati, che si proclami un immediato cessate il fuoco e che si avvii la ricostruzione a Gaza”. Così la premier Giorgia Meloni, in viaggio verso la Giordania. “Continueremo a sostenere con determinazione ogni sforzo in questa direzione e per la ripresa di un processo politico serio e credibile, che conduca alla soluzione dei due Stati”, ha concluso. 

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