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L’arma del terrore contro Hezbollah

Quanto è avvenuto in Libano mi spinge ad esprimere una mia idea su un aspetto particolare della vicenda: la straordinaria efficienza degli apparati di intelligence israeliani. La mia idea – su cui non tutti concorderanno – è che la clamorosa azione dei servizi segreti israeliani ai danni degli Hezbollah è stata resa possibile dal fatto che Israele può contare all’estero su nuclei di collaboratori del Mossad indistinguibili dalla popolazione locale: i Sayanim. I quali, appunto, sono ebrei della diaspora che collaborano con il Mossad. Ciò è almeno quanto ci racconta Jacob Cohen in “Le printemps des Sayanim”.

 

Anche gli attentati compiuti nel passato a Teheran, sotto il naso dell’Ayatollah, provano che Israele ha lunghi tentacoli, perché dispone di elementi fidati in diverse parti del mondo, compreso l’Iran. 

La preparazione tecnica per rendere esplosivi i contapersone e i walkie-talkie, e farli quindi pervenire ai propri sospettosissimi nemici, è un’impresa che sfida l’immaginazione anche di uno scrittore di gialli. Eppure è stata egregiamente compiuta. Sono convinto che alla base di questa straordinaria capacità degli israeliani di penetrare e di compiere attentati in luoghi strettamente sorvegliati dagli apparati militari e polizieschi avversari, vi è una virtù ebraica che gli antisemiti del passato hanno invece visto come un pericolo per i vari governi: la mutua solidarietà e la capacità mimetica di molti degli appartenenti a questa minoranza. L’accusa di costituire uno Stato nello Stato è un’accusa che derivava appunto da questa qualità posseduta da molti di loro di essere, in circostanze normali, indistinguibili dal resto della popolazione, pur aderendo  – mi riferisco al passato – ad una comunità “nazional-religiosa” fortemente esclusivista e sottoposta ad una propria legge: la legge ebraica.

 

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In “Israel, un examen moral”, il grande intellettuale, romanziere, storico israeliano Avraham B. Yehoshua,”, afferma che “i principi alla base dell’odio contro gli ebrei sono enunciati con una chiarezza, una precisione, una concisione sorprendenti”. Dove? Nel “libro d’Esther” (Antico Testamento), scritto tra il 400 e il 200 prima di Cristo. Ecco il passo significativo. Aman dichiarò al re Xerxsès (Ahasuerus): “C’è un popolo separato e disperso fra i popoli di tutte le provincie del tuo regno, le cui leggi sono diverse da quelle di ogni altro popolo, e che non osserva le leggi del re; non è quindi interesse del re tollerarli. Se aggrada al re, che si ordini per iscritto di farli perire”. Aman, in sostanza, denunciava più di due mila anni fa l’idea, inaccettabile per il potere centrale, dello “Stato nello Stato”. Yehoshua conclude: “Questo è il fondamento dell’antisemitismo secondo la dottrina sionista; questa è la sua radice; né la gelosia, né il cristianesimo, né l’Islam, né la posizione di intermediario economico, né l’eccellenza universitaria, né l’arcaismo religioso nei ghetti, ma il fatto stesso della dispersione, dell’estraneità, del carattere alloctono, della differenza, dell’assenza di limiti di cui fanno a meno gli ebrei e che poteva, in determinate circostanze, suscitare nei loro confronti un’ostilità omicida da parte dei popoli che li avevano accolti”.

 

Anche lo studioso francese Bernard Lazare (!865-1903), nel suo libro sull’antisemitismo, usa l’espressione “Stato nello Stato”. Lazare: “A Roma, ad Alessandria, ad Antiochia, in Cirenaica fu loro lasciata piena libertà in materia. (…) Ovunque volevano restare ebrei e ovunque fu concesso loro il privilegio di fondare uno Stato nello Stato.”

 

Morale della favola: lo Stato d’Israele, creato nel 1948,  può contare su  una potente arma: la solidarietà dei fratelli della diaspora, anche se cittadini di altri stati; mentre i politici e i combattenti di Hezbollah hanno scoperto che il maneggiare l’arma del terrore può fare molto male anche a loro.

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