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Quando un figlio uccide

Figli che eliminano i genitori. La notizia ci devasta come fosse la prima volta. Eppure, l’evento è archetipo che ritroviamo già nel mito di Crono che evira suo padre Urano, di Edipo che non sfugge alla profezia dell’oracolo di Delfi e uccide suo padre Laio, così come di Oreste che vendicherà suo padre Agamennone assassinando Clitennestra, sua madre. Poi Bruto con Giulio Cesare. E come non dimenticare il parricidio del principe ereditario Dipendra, che nel 2001 massacrò i genitori, i reali del Nepal?

 

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Speculare sulle cause di questo ancestrale modello comportamentale ci conduce, ovviamente, a Freud, alla nevrosi da castrazione del figlio che, eliminando la figura paterna, recupererebbe un ruolo primario nel rapporto con la madre; oppure, alla teoria della psicologa Klein che distinguerebbe tra seno buono e seno cattivo, quest’ultimo visto come l’indisponibilità per il bambino di oggetti che lo gratifichino e lo rassicurino, e che quindi finiscano per determinare in lui impulsi violenti. Personalmente, sospetto che il parricidio (intendendo con il termine l’azione di uccidere – dal latino caederei parenti, cioè coloro che hanno partorito un individuo – dal latino parere -) possa rappresentare l’urlo lancinante, quasi munchiano, di chi aspetta disperatamente, sulla spiaggia dell’esistenza, una figura genitoriale assente. Il figlio che uccide i parenti potrebbe esprimere con violenza il disagio di un’attesa esausta e avvertita in tutta la sua improrogabilità. In una società che fa poltiglia di ogni ruolo, che si liquefa in una carnevalizzazione di ogni ordine gerarchico, in cui il Padre gioca a farsi fratello-amico del Figlio, in cui la Madre sembra travolta dalla difficoltà di conciliare carriera e ruolo parentale (e quanta responsabilità hanno le istituzioni nel non saper venire incontro a questa necessità!), il Figlio non può non soffrire la mancanza di una Legge, di un qualcosa da ereditare, di un làscito di valori che vada oltre il permettere tutto dei genitori, nel soddisfacimento di ogni capriccio che spesso finisce per risolversi in un pericoloso hikikomori davanti alla luminescenza di uno schermo.

 

E allora, quel prendere un’arma e il “muoia Sansone con tutti i Filistei” potrebbe sostanziare il grido di chi non sa più declinare il sentimento della mancanza di colui che non è più tornato dal Figlio.

 

Ancora sulla riva ad aspettare.

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