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La politica estera Usa: recepita ma non compresa

La politica estera degli Stati Uniti non è difficile da capire. Si basa tutta sul “containment”, un termine facile da recepire, ma non da comprendere fino in fondo. L’idea è che se uno è forte, ricco, bello o famoso non serve dimostrarlo. E questo si riflette in tutta la società americana. Infatti, appena arrivato a New York City dall’Italia, il mio vecchio direttore Al Jaffe mi rimproverava se usavo l’aggettivo “famoso”. Mi diceva: “Se è famoso, non serve dirlo”. Imparata la lezione, anni dopo lo feci notare all’amico Carlo Sartori, quando dirigeva l’allora “famoso” Prix Italia della Rai, e lui ribadì: “Capisco, ma così si usa in Italia!”.

 

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Ed eccoci tornare all’incomprensibile politica estera americana, che non si è mai ripresa dai tempi del Marshall Plan nel 1948. Da decadi gli americani si sono coinvolti in “endless wars” (guerre infinite) e spesso si sente dare come ragione il “Military-Industrial Complex” denunciato dall’allora Presidente Dwight Eisenhower. Ragione valida nel caso della guerra in Iraq, dichiarata a benficio dell’Halliburton, l’ex società dell’allora Vicepresidente Usa Dick Cheney. Ma non spiega tutti gli altri errori in politica estera commessi in Medio Oriente, in Sud America, nell’Europa dell’Est e in Asia: per avere tutti come amici, l’America si è fatta tutti nemici.

 

Il problema, a mio avviso, è che la politica estera americana ha difficoltà a trattare con i dittatori, appunto per la cultura americana del “containment”.

Prendiamo l’esempio dell’invasione russa in Ucraina. Con il “containment”, gli Usa hanno imposto graduali sanzioni economiche facilmente raggirabili dai russi. Con l’escalation voluta dagli ucraini, il dittatore russo ha cominciato a minacciare una guerra atomica. E l’America si è terrorizzata, probabilmente pensando che, essendo i russi dotati di scarsa preparazione militare tradizionale, come alternativa hanno solo le testate nucleari, quindi meglio contenerli. Come se una guerra nucleare non avesse conseguenze drammatiche anche in Russia. Ora, se un dittatore può fermare le rappresaglie contro le sue azioni militari con le minacce nucleari, a cosa servono i milioni spesi per l’arsenale militare ogni anno dagli americani? Per fermare un’invasione negli Usa? E ancora, siamo sicuri che gli americani capiscano la mentalità dei dittatori? Questa non è mai cambiata, è stata analizzata e descritta in dettaglio, eppure mai ben capita dagli americani, che si ritrovano oggi sotto continue minacce, principalmente dell’asse Russia-Cina-Iran-Nord Corea.

 

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