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L’Angelo del Nincheri

I simboli della Casa d’Italia: il Fascio, la Lupa, l’Aquila e l’ “Angelo del Nincheri”

Nella prima immagine una vecchia foto in bianco e nero, unica a mia conoscenza, ove appare l’angelo originale del Nincheri. Nella seconda, l’ultima versione eseguita qualche anno fa, partendo dalla vecchia foto. Il valore di quest’ultima versione non è assolutamente artistico, ma solo informativo. I responsabili dell’ultimo restauro non hanno realizzato l’importanza di questa icona comunitaria, distruggendo la testimonianza simbolica di uno spirito comunitario particolare, privando la Comunità e la Casa d’Italia di un “pezzo identitario”.

 

(4ª parte)

Un ennesimo simbolo controverso nel decoro della Casa d’Italia è stato l’ “Angelo” del Nincheri, poiché recava sul petto un Fascio littorio, perciò anch’esso interpretato con faziosità e cassa ignoranza della nostra storia. L’angelo della Casa d’Italia del Nincheri, così identificato dalla Comunità italiana del passato, in realtà costituiva un’allegoria del genio italico, interpretata con nostalgia dai nostri pionieri. Ricordo che con tal nome solevano identificarlo i Padri Servi di Maria, tra cui: P. Valdiserra, P. Menchini, P. Vangelisti P. Patriarca e altri; così come i vari Francesco Pantaleo, Alfredo Gagliardi, Sam Capozzi, Antonino e Gentile Dieni, ecc… Oggi lo conferma l’artista di origine calabrese ancora in vita, il Prof. Anselmo Sangineto, il quale nel 1963 restaurò gli affreschi nincheriani della “Difesa”, assieme al Prof. Ernesto Capone. Purtroppo il magnifico affresco nincheriano della pregiata allegoria alla Casa d’Italia è andato distrutto durante gli ultimi restauri. Esso sorgeva dopo le scale, nell’atrio dell’entrata storica della “Casa”, sulla rue Jean-Talon, a destra sulla parete demolita, tra lo scomparso botteghino della biglietteria e l’entrata della grande sala, in asse con il fascio littorio che appare nel terrazzo. L’angelo fu progettato da Guido Casini e Guido Nincheri, ma realizzato da quest’ultimo. Chi ricorda l’originale (prima ancora che Armando De Palma, che con buona volontà lo ritoccò negli anni ‘80 a seguito di un gesto vandalico che ne deturpò in parte il dettaglio, le linee e i colori originali), ricorda nell’opera lo stile unico ed inconfondibile dell’artista: l’angelo, nel gesto e nell’aspetto ieratico, sembrava fosse stato magicamente trasferito dall’artista da una delle sue celebri vetrate. L’opera, nel suo insieme, evocava nel gesto e nel decoro l’anima latina del popolo italiano; l’allegoria era completa e sublimemente rappresentativa. Solo un artista come il Nincheri, usando una tecnica all’epoca pressocché sconosciuta in Canada (l’affresco), al punto da esser considerato il Michelangelo del Nord America, sarebbe stato all’altezza di sintetizzare sì magistralmente, in un’allegoria, la sintesi della storia d’Italia, prezioso retaggio culturale della nostra Comunità. A seguito dell’atto vandalico degli anni ‘80, malgrado l’originale nincheriano restò deturpato, fino agli ultimi restauri, il restante dell’opera rappresentava comunque una traccia del contributo nincheriano alla Casa d’Italia, assieme alla serie di vetrate con la Lupa Capitolina anch’esse sparite nel primo restauro. Peccato! Ancora peggio è che sapientoni dell’ultima ora, in cerca di notorietà, speculano e intorbidiscono le acque, mettendo in dubbio la paternità dell’affresco originario. Oltre alla memoria collettiva della Comunità e tante testimonianze, l’ex capitano degli alpini, l’artista Guido Casini, stretto collaboratore, corregionale e amico del Nincheri, che ho avuto l’onore ed il privilegio di conoscere, mi assicurò della paternità nincheriana dell’ “angelo”. Ricordo che il Casini soleva ripetere che il Nincheri, con la sua allegoria e nei simboli che l’accompagnavano, intendeva riassumere il genio latino, retaggio culturale di cui siamo gli eredi diretti.

 

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L’artista volle evocare simbolicamente l’Italia con le sue virtù attraverso i secoli. L’insieme dell’affresco evocava nel gesto l’attimo proteso in un’ardente preghiera e supplica. Aveva a destra una fronda di quercia con ghiande: simbolo di forza e tenacia del popolo italiano; sulla stessa fronda s’innestava un ramo d’alloro, simbolo di gloria. Alla sua sinistra s’innalzavano rigogliose, bionde spighe di grano a rappresentare l’Italia quale madre nutrice, rurale e contadina di tutti i tempi; particolare evidente dell’Italia del passato e dei componenti della nostra Comunità dell’epoca. Il busto dell’ “angelo” vestiva una corazza romana con al centro in rilievo un fascio littorio a ricordo del nostro passato italico, etrusco e romano. Simbolo di maestà, diritto e sovranità, esso è sintesi della nostra storia e del nostro passato romano. Adottato da vari enti e nazioni, ancora oggi il fascio è simbolo di legalità, giustizia e del diritto romano, base del diritto della civiltà occidentale. Infine l’ “angelo” aveva le braccia alzate, con le palme delle mani rivolte al cielo, in un mesto atto sacerdotale di fede e offerta propiziatoria nel sacrificio del lavoro, a testimoniare l’operosità della nostra gente. La severa figura, in atteggiamento di preghiera e supplica, sembrava invocare al cielo benedizione e futuro propizio all’Italia, ai suoi figli sparsi nel mondo e quindi anche alla nostra Comunità. Purtroppo la replica esistente oggi, eseguita qualche anno fa a partire da vecchie fotografie, non è neanche lontanamente paragonabile all’originale dell’artista fiorentino; ma almeno dà un’idea del messaggio simbolico. (Continua)

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