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Gian Maria Volonté entra nella Treccani a 30 anni dalla morte

(Adnkronos) – L’attore Gian Maria Volonté conquista un posto nella Treccani nell’anno in cui si celebra il 30° anniversario della sua morte. Una lunga voce dedicata alla vita e alla carriera del grande interprete di film memorabili come “Sacco e Vanzetti” (1971) di Giuliano Montaldo, “La classe operaia va in paradiso” (1971) di Elio Petri e “Il caso Mattei” (1972) di Francesco Rosi è pubblicata sul volume 100 del Dizionario Biografico degli Italiani, a cura di Marina Pellanda, che appare alla vigilia dell’anniversario della nascita.  

Nato il 9 aprile 1933 a Milano e morto a Florina (Grecia) il 6 dicembre 1994, Volonté è considerato uno degli attori teatrali e cinematografici più importanti del cinema italiano dalle “straordinarie doti interpretative, basate su una naturale abilità mimetica e su un lavoro attoriale ossessivo, al servizio del miglior cinema di impegno civile”.  

A diciassette anni partì per la Francia vivendo alla giornata, vendendo giornali e raccogliendo mele per poi rientrare in Italia avvicinandosi al teatro. Nel 1959, per primo in Italia, diresse e interpretò “L’ultimo nastro di Krapp” di Samuel Beckett: un gesto d’avanguardia perché Beckett si affermò in Italia con difficoltà, solo a partire dal 1960-70. Del 1959 fu anche la sua prima fortunatissima partecipazione televisiva come Rogozin ne “L’Idiota” di Fëdor Dostoevskij, ridotto, sceneggiato e interpretato da Giorgio Albertazzi, per la regia di Giacomo Vaccari, che lo impose improvvisamente al pubblico come “uno dei più interessanti e promettenti attori della nuova generazione” (Peano, 1967).  

Nell’estate del 1960 l’attore lavorò con Enriquez in due spettacoli shakespeariani: “Romeo e Giulietta” e “Antonio e Cleopatra”, conoscendo così Carla Gravina. Il loro legame, nato al di fuori del matrimonio fece parecchio scandalo, ma continuò nonostante l’ostracismo che anche nel lavoro colpì i due attori, e il 3 luglio 1961 nacque Giovanna, che avrebbe portato il cognome materno. A volte la sua inquieta ricerca, gli interrogativi, l’ansia di chiarimenti gli fecero mancare occasioni prestigiose: attraverso le sue scelte non dettate da logiche di mercato, non rinunciò mai a interrogarsi sul suo ruolo di intellettuale e di attore, tanto da lasciare un segno anche per i film che si rifiutò di interpretare.  

Nel 1972 Volonté disse no a Francis Ford Coppola per “Il Padrino” e nel 1976 rifiutò “Il Casanova” di Federico Fellini e “Novecento” di Bernardo Bertolucci. Il decennio 1970-80 fu particolarmente sofferto. Vedendo spegnersi il cinema d’autore di stampo realistico, individuò nel mercato la peggiore delle censure. In questo clima si concesse lunghi soggiorni lontano dall’Italia (in Francia, in barca a vela nel 1970), ma anche, nel 1976, dedicandosi a una breve esperienza politica, singolare e generoso tentativo di portare il suo impegno e la competenza di uomo dello spettacolo nella vita pubblica: eletto consigliere comunale a Roma nelle liste del Partito Comunista Italiano, si dimise non molto tempo dopo perché ritenne non fosse quello il terreno a lui più congeniale.  

Tra il 1978 e il 1979 girò con Francesco Rosi “Cristo si è fermato a Eboli” (fu il quarto film con il regista) e diede vita, dalle colonne del quotidiano “L’Unità”, a una durissima lotta (anche sul piano giudiziario): la campagna sul tema ‘voce-volto’, che affermò il principio per cui un attore è tale solo se, oltre a dare il suo volto, dà al personaggio che interpreta anche la propria voce. L’anno successivo gli venne diagnosticato un cancro a un polmone e per sostenere economicamente l’intervento chirurgico che lo salvò accettò di interpretare Plessis nella riduzione televisiva di Mauro Bolognini dell’opera di Stendhal “La certosa di Parma” (1982).  

Volonté – che ha dato un contributo importante al cinema italiano, al western, ai film di Elio Petri e Rosi ma anche alla commedia all’italiana nell'”Armata Brancaleone” (1966) di Mario Monicelli – negli anni seguenti diradò l’attività cinematografica per dedicarsi di nuovo al teatro. Riconquistò l’attenzione internazionale con “La mort de Mario Ricci” e con “Il caso Moro” (1986) di Giuseppe Ferrara, dove interpretò l’uomo politico democristiano meritandosi l’Orso d’argento al Festival di Berlino del 1987. Dopo “Cronaca di una morte annunciata” (1987), sua quinta collaborazione con Rosi, iniziò a prediligere le produzioni internazionali, come nel caso di “L’œuvre au noir” (1988; L’opera al nero) di André Delvaux e di “Tirano Banderas” (1993; Il tiranno Banderas) di José Luis García Sánchez, ma non mancò di dare il suo contributo ad altri due film italiani tratti da opere di Sciascia, “Porte aperte” (1990) di Gianni Amelio, per il quale ricevette il David di Donatello, e “Una storia semplice” (1991) di Emidio Greco. Nel 1991 ricevette il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia. Fu colto da infarto sul set di “To vlemma tu Odyssea” (Lo sguardo di Ulisse) di Theo Anghelopulos (uscito postumo nel 1995), mentre era impegnato come sempre nella lotta alla guerra e alla cultura della morte. (di Paolo Martini) 

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