La storia dell’umanità è caratterizzata sia dal Padre che uccide il proprio Figlio, sia dal Figlio che si ribella e detronizza il Padre. Se cerchiamo un esempio che riassuma entrambi i casi, si pensi al mito di Edipo rappresentato nella tragedia di Sofocle: Laio che desidera il figlicidio, senza però riuscirvi, sarà ucciso proprio dall’atto parricida del figlio Edipo. Tutto questo ipostatizza il carattere dispotico che la figura paterna ha espresso per secoli: un Padre che aveva il potere, come in epoca romana, di abbandonare i propri figli, quando addirittura non schiavizzarli o ucciderli. Ciò dà ragione, ancora oggi, della reazione inconscia del Figlio che si ribella al Padre-Padrone e che, almeno simbolicamente, lo “uccide’’, disconoscendone la potestà. Secondo la psicanalisi, questo sarebbe persino un momento necessario al processo evolutivo di un figlio maschio.
Eppure, un “parricidio’’ visto in termini antagonistici di quella arcaica potestà e vòlto unicamente a sostituirsi al Padre non può che generare un clima conflittuale che tende a riverberarsi negativamente in direzione della società tutta. C’è chi, come il filosofo Massimo Cacciari, condanna la volgarità sovvertitrice e ribelle di questa forma di parricidio e pensa, al contrario, a un Figlio che non uccide il Padre ma che si fa erede dell’autorità paterna, situandosi en arché con il Padre stesso, cioè in una dimensione principiale e originaria con lui, quindi con Dio. Come non vedere qui il Figlio del Nuovo Testamento, del Cristo che siede alla destra del Signore e che di quest’ultimo è unica interpretazione? È a questa forma paradossale di parricidio che dovremmo, semmai, tendere: un abbraccio dell’autorità paterna, al di là di ogni ribellione e che, in quanto logos con Dio, cioè fatto di materia terrena e divina, si lega alla figura del Padre e che rappresenta una continuità nella novità. Umberto Saba pensava che in Italia una vera rivoluzione fosse mancata perché gli Italiani sarebbero sostanzialmente fratricidi. A sostegno della sua tesi, il grande poeta citava la furia di Romolo contro Remo nel corso della fondazione di Roma, oppure la morte di Francesco Ferrucci che, dopo essersi opposto a Carlo V in difesa della Repubblica fiorentina, fu ucciso da un traditore italiano passato dalla parte del nemico. Saba additava questa tendenza fratricida alla rinuncia del popolo italiano a liberarsi del “vecchio’’, della potestà del Padre.
Eppure, alla luce di un’idea di eredità filiale del Padre, potremmo dire che è stata, al contrario, la tendenza a voler sovvertire l’autorità paterna senza accettarla a generare la violenza del fratello contro fratello.
E oggi, con l’evaporazione del Padre, con un Telemaco che aspetta inutilmente Ulisse, le cose sembrano complicarsi ancora di più.