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Il cittadino del mondo e i suoi scarsi doveri

Giuseppe Mazzini: “Lavorando per la patria, lavoriamo per l’umanità.” Ed ecco cosa scrive al riguardo il generale Roberto Vannacci nel suo libro “Il mondo al contrario” (equiparato al Mein Kampf di Hitler dal giornalista Paolo Beducci, ospite di CFMB): “No! Non sono cittadino del mondo. Non credo alle patrie aperte, ideologiche o a quelle di tutti. A me, che ho vissuto per anni in zone di conflitto lontano dalla mia terra, distante dalla mia famiglia, dai miei affetti e dai miei parenti sognando ogni notte il momento del ritorno, questa fregnaccia non la raccontate. Certo, ho avuto una famiglia che mi ha voluto bene oltre ogni aspettativa, ho avuto affetti insostituibili, ricordi bellissimi, momenti di gioia e felicità indimenticabili e mi sono sentito parte integrante di una società di cui condividevo i valori. Ecco perché distruggendo i rapporti tra parenti, relativizzando la famiglia, deridendo i valori e scompaginando la società uccidiamo anche la Patria. Non ritengo neanche che essa sia il luogo dove ‘si è nati per caso’: innanzitutto perché rifiuto l’idea che si nasca per accidente o per starnuto. (…) Non nasciamo come esseri isolati e solitari che si affacciano ad un mondo governato da leggi stocastiche [casuali, aleatorie], ma siamo tutti figli di una determinata famiglia, nipoti di certi nonni e zii, eredi di tradizioni e abitudini centenarie e parti indivisibili di una comunità civile, religiosa, linguistica e culinaria dotata di una specifica e contraddistinta identità”. 

 

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Cosa aggiungere da parte mia? Chi non prova un sentimento di responsabilità verso la patria si compiace nel fare discorsi di falsa bontà, molto gratificanti per il suo ego, mentre non si sente minimamente corresponsabile del bene comune che è alla sua portata: il bene locale, il bene nazionale. Lui è figlio dell’universo, mentre noi (chiamati da lui “sovranisti”, “populisti”) siamo figli di una patria. Lui è un cittadino del mondo e non prova obblighi verso lo Stato, entità quest’ultima incompiuta e carente in Italia proprio a causa di questa latitanza di ethos civico. E lui, cittadino del mondo, ha un debito teorico fatto di belle frasi verso l’universo intero. Mentre noi sentiamo di aver un debito concreto verso la società nazionale nella quale viviamo e della cui identità ci sentiamo pienamente partecipi. Il suo è un rapporto funzionale, strumentale, opportunistico con la società. Il nostro è invece un rapporto pratico e morale; in una certa misura, sì, egoistico perché si esplica entro determinati confini, ma che ci rende nello stesso tempo anche attenti e sensibili al destino nazionale altrui. Persino quando andiamo in vacanza in un angolo esotico, lo spettacolo dell’ingiustizia e della vita difficile da cui è afflitto il popolino del Paese visitato ci impedisce di sentirci veramente bene, proprio perché vediamo i mali della nazione, anche se questa non è la nostra nazione.

 

Il senso della patria dà questo sentimento di altruismo. Il “cittadino del mondo” italiano, sempre che stia bene lui, agli altri non pensa. E dicendo “altri” in questo caso mi riferisco innanzitutto ai fratelli d’Italia, che parlano la sua lingua e condividono il suo stesso destino nazionale. Ma cosa volete, egli è un cittadino del mondo, anche se il mondo è per lui un semplice riferimento astratto, teorico. E nel quale egli pone al centro sé stesso.

 

E noi trapiantati in Canada?

Noi siamo e rimaniamo in una buona misura italiani, anche se in una maniera particolare, a causa dell’allargamento della coscienza, e dei legami che ormai abbiamo con più mondi, e della diversità di lingue e culture entro cui ci muoviamo. I figli nati all’estero e i matrimoni misti sono un’altra componente della nostra complessa realtà socio-culturale di esseri trapiantati; che hanno il senso del bene comune e della dignità nazionale propria e il rispetto per quella altrui.

 

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