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L’eterno presente dei giovani nati orfani

Un Orazio redivivo esprimerebbe tutta la sua perplessità davanti all’abuso che i nostri giovani fanno del suo celebre “carpe diem’’. L’invito del poeta latino delle “Odi’’ a dare valore a quello di cui possiamo godere nel qui e ora, nell’ hic et nunc, senza riporre troppa fiducia nelle ricchezze di un futuro imprevedibile, ha subìto da tempo una preoccupante deriva nichilistica nel comportamento delle nuove generazioni. Poniamoci qualche domanda, basata su alcuni recentissimi fatti di cronaca italiana: che cosa avrebbe spinto un ragazzo a sparare alla propria insegnante con una pistola ad aria compressa se non l’ebrezza di un momento di malato protagonismo? Che cosa c’è dietro la scelta di un gruppo di giovani alla guida di un potente fuoristrada di filmare sé stessi mentre si schiantano ad alta velocità contro un’altra auto se non il brivido di accarezzare la Morte (spesso quella di altre persone innocenti!) in un momento di perversa eccitazione dei sensi? Questi episodi si sommano ad innumerevoli altri in cui i nostri giovani sembrano vittime-carnefici di una visione della vita del tutto priva di speranze, senza obiettivi da perseguire, prigionieri di un presente dilatato e mostruoso, che fagocita ogni progettualità. Qui a morire non è solo il Dio di Nietzsche; qui a morire è il senso dell’essere Figli. Perché? Perché manca il Padre, va da sé. Al netto di uno stato emotivo generato da pandemie e da guerre potenzialmente nucleari, qui siamo davanti al fallimento di una figura paterna che ha abdicato al suo ruolo prima ancora che essa fosse freudianamente ‘’giustiziata’’ dal Figlio. Questi ragazzi sono nati orfani, temo.

 

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Il Padre come guida e autorità a cui riferirsi per crescere ed affrontare la realtà si è trasformato, nel tempo, in un improbabile Peter Pan che pretende, oggi, di stabilire con il Figlio un rapporto di complicità godereccia, un papà pronto a soddisfare ogni capriccio del figlio, privando quest’ultimo dell’intimo significato del desiderio. I figli di questa società non conoscono il senso dell’attesa: vogliono tutto e subito. In un carpe diem selvaggio e folle. Non sono d’accordo con lo psicanalista Massimo Recalcati quando pensa al giovane d’oggi come a un Telemaco che attende il padre scrutando il mare. Telemaco sapeva aspettare. Conosceva il senso dell’assenza del padre. Oggi, il giovane che filma sé stesso mentre si schianta con un’automobile contro degli innocenti urla inconsciamente la sua condizione di orfano la cui piccola mano non è mai scomparsa in quella generosa e saggia di un padre.

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