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25 aprile: un diktat imposto diventato armistizio e una disfatta celebrata come liberazione

Quanto segue non è per fomentare polemiche. Intendo invece ricordare agli immemori che il 25 aprile dovrebbe piuttosto ricordare una ricorrenza che da sempre suscita polemiche: una disfatta nazionale, una resa senza condizioni, e una guerra civile con tutti i suoi crudi risvolti da ambo le parti in causa (Partigiani e Repubblicani della RSI). Purtroppo, correnti politiche ben identificabili insistono nel celebrare questa pagina controversa della nostra storia come una liberazione. Quando mai una lite, o dissidio familiare, sfocia in profitto per la famiglia? Soprattutto quando vi sono dei “terzi” che ne approfittano. È risaputo che quando una bugia è ripetuta all’infinito finisce col diventare verità; e questa situazione è durata più di un settantennio, travisando fatti e creando miti agiografici artificiali. Di questi miti, a titolo di esempio, ne cito due più che controversi, i quali annualmente accendono gli animi e dividono gli italiani.

Ex fascisti ed ex Partigiani depongono una corona di alloro all’Altare della Patria. Unico episodio di riappacificazione avvenuto in tempi non sospetti, dopo il quale l’odio è continuato promosso dalla “strategia della tensione” e la contrapposizione ideologica.

 

Il primo: si tratta della famosa “Bella Ciao”. Ho già accennato all’origine di questo canto. Quel che si vuol far passare come un inno partigiano e della resistenza non fu mai una canzone cantata dai partigiani. Oltre ai dati storici e le cronache, lo confermò anche un celebre giornalista, l’antifascista e ufficiale partigiano Giorgio Bocca, di certo non di destra e quindi credibile. Egli affermò che: “i partigiani, a seconda del colore politico, cantarono: “Fischia il vento”, “L’Internazionale”, “Bandiera Rossa”, “L’Inno a Garibaldi” e Fratelli d’Italia”; non di certo “Bella ciao”. La celebre e orecchiabile “Bella ciao”, passata come canzone cantata dai partigiani, trae origine da una villanella yiddish della Bohemia dell’ottocento. Fu introdotta nella prima versione originale italiana dalle mondine del vercellese ai primi del Novecento. Negli anni cinquanta del secolo scorso furono popolarissimi in tutta la Penisola motivi “nazionali” come: “Vecchio scarpone”, “Campane di Montenevoso”, “Campane di S. Giusto” e “Vola colomba…”. Il PCI capì che, a questo livello, perdeva contatto con le masse e corse ai ripari. “Fischia il vento” suonava troppo balcanica e slava; “Bandiera Rossa” troppo rivoluzionaria nel contesto Nord-Atlantico. Non attecchivano a livello popolare. Allora il PCI politicizzò il più che orecchiabile testo originale delle mondine, presentandolo per la prima volta nella versione attuale, “resistenziale”, nell’ambito del ‘VII Festival dei due Mondi’ di Spoleto, nel 1964. Tanto per precisare e mostrare come può nascere un mito! Certo “i nostalgici” (di cosa poi !) possono cantarla, nella versione da loro inventata, ma non strumentalizzandola e situandola nell’ambito di un triste paragrafo della nostra storia.

 

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E arrivo al mito del “25 aprile”, data che dovrebbe ricordare una mortificazione nazionale, che ha visto il formicolìo di eserciti stranieri, di tutte le razze e colori, scorrazzare sulla nostra Penisola; data che ci ricorda il triste capitolo delle “marocchinate” di Ausonia, della Valle del Liri, di Tombolo, dei “sciù’scià” e delle famigerate foibe. Invece, è ora che gli italiani celebrino piuttosto tutti i caduti, vittime di un’orrenda e triste guerra civile. Non si celebra una libertà a seguito di una catastrofe nazionale, la perdita di territori e il massacro dei connazionali giuliani; non si celebra un meschino e torbido intrigo di corte. Semmai ricordare e farne un monito! E invece…. gli italiani sono gli unici al mondo che celebrano una disfatta! Suggerisco a tutti di non associarsi al coro orchestrato dai soliti istrioni del politicume italico. In uno stato di diritto, obiettivo e non fazioso, i Caduti vanno tutti rispettati, e i crimini commessi da ambo le parti vanno obbiettivamente vagliati, giudicati e condannati. Quando in buona fede si è convinti di compiere il proprio dovere e si sacrifica la propria vita, ciò va rispettato a prescindere dalle scelte politiche. Non si fa retorica quando si muore. Un popolo maturo sa cogliere i migliori fiori su campi diversi. Salvo D’Acquisto insegna. Ricordare non la bolgia delle “radiose giornate” della primavera di sangue, di togliattiana memoria, ma con un mesto pensiero e un fiore deposto su ogni tomba. Mi preme ricordare un fatto accaduto nel gennaio 1947, riportato dal settimanale Oggi, n.2 dello stesso mese. Sulla rivista appare una fotografia che mostra ex fascisti ed ex partigiani non comunisti che cercano una pacificazione, portando una corona d’alloro all’Altare della Patria. La notizia recita: “La cerimonia di riconciliazione fra ex partigiani ed ex fascisti si è iniziata la mattina del 6 gennaio nella chiesa di Sant’ Agostino a Roma. Poi i due cortei, gli ex fascisti da una parte e gli ex partigiani dall’altra, si sono recati a depositare una corona d’alloro con un nastro tricolore e la scritta “Gli italiani agli italiani”, sulla tomba del Milite Ignoto. Dopo la deposizione della corona sull’altare della Patria, i due gruppi si sono abbracciati, intonando il Piave e l’inno di Mameli. Erano presenti il Gen. Bencinvenga, il Colonnello Musco e il principe Pignatelli. La cerimonia fu sconfessata dalle Associazioni dei partigiani e dei partiti”.

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