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Il Filmmaker Paul Ballerini: un’identità in continua evoluzione

Già a 15 anni, Paul Ballerini, che oggi ne ha 29, si è infatuato del cinema, noleggiando pellicole dalla biblioteca un paio di volte alla settimana. Registrava anche i film in TV con il lettore VHS e li rivedeva nel fine settimana. Ora sta completando il suo Master alla Concordia University e parte della sua ricerca riguarda il modo in cui le persone interagiscono con gli oggetti e il modo in cui questi creano poi la nostra memoria.

“Non c’è nessuna ragione concreta per attaccarsi ad un oggetto, eppure si sente una sorta di legame emotivo”, spiega Paul. “…Questo perché quando si guarda un oggetto, si rievocano dei ricordi. Gli oggetti possono creare un legame con il passato”. I suoi film passati parlano di obblighi verso la famiglia, patrimonio, se stessi, i diversi valori morali che abbiamo come popolo italiano, le possibilità di connettersi ad altri che si sentono lontani.

Paul fa notare come gli italiani di Montréal si siano integrati nella società grazie ad una lingua simile, per la comune radice latina, e grazie alla stessa religione: questo ha creato un senso di appartenenza, ma non una piena integrazione, visto che ci sentiamo ancora distanti. “Credo che il mio modo di vedere i film sia culturalmente molto italiano… l’Italia ha avuto un’importante corrente cinematografica nel dopoguerra, chiamata Neorealismo, che era un modo piuttosto duro e diretto di mettere in scena la realtà. Si filmava la gente comune nei luoghi in cui viveva realmente. Questo faceva sembrare i film più amatoriali, ma era fatto di proposito. In questo modo, si creavano rappresentazioni molto autentiche, con una sensazione di profonda sincerità. A me questo piace e anche nei miei film voglio che siano sinceramente presenti gli aspetti che fanno parte della mia realtà, della mia cultura”.

La trasmissione di storie e ricordi nella sua famiglia ha poi sicuramente influenzato anche il suo interesse verso la psicologia della memoria e del passato, incorporando a questo l’idea del cinema post-migrazione, ovvero i film realizzati da immigrati di seconda e terza generazione. “Penso che gran parte di ciò che siamo venga dalle esperienze dei nostri genitori e dei nostri nonni. Il nostro modo di vedere il mondo si basa anche su come loro lo hanno vissuto”.

Ora Paul Ballerini sta lavorando ad un progetto che comprende la ricerca tradizionale e la ricerca creativa, e si avvale della collaborazione di un professore dell’Università di Padova. Paul si recherà anche a Roma, Bologna, Campobasso e nei paesi dei suoi nonni, Sant’Ambrogio a Frosinone e Caserta. Il progetto è finanziato dal Mitacs, un’organizzazione canadese senza fini di lucro, dal Fonds de recherche du Québec e dalla Facoltà di Belle Arti della Concordia University, e si propone di esaminare il “viaggio di ritorno” in Italia come immigrato di seconda o terza generazione, un’esperienza che ridefinisce il modo in cui vediamo noi stessi e la stessa nostra identità. L’intenzione è anche parlare con gli italiani in Italia per capire come vedono coloro che sono partiti, emigrati, e come vedono quelli che tornano, gli immigrati di seconda e terza generazione.

“Vivendo a Montréal, ci sentiamo più italiani quando siamo con i quebecchesi, mentre, quando siamo con altri italiani, ci sentiamo meno italiani perché loro sono più italiani di noi: la nostra identità cambia continuamente”, spiega Paul. “Una delle cose che definisce la nostra identità di immigrati di seconda e terza generazione è il concetto di tornare in Italia solo per una visita, che sia per turismo o per rivedere la famiglia”.

Un viaggio di ritorno in Italia può destare due reazioni opposte: non percepire alcun legame con l’Italia e sentirsi meno italiani di quando si è arrivati, oppure, al contrario, iniziare ad associare le radici alle abitudini e ai processi di pensiero, consentendo una connessione più profonda con la propria identità italiana. “Andare a visitare il paese dei nonni e vedere davvero lì davanti a te le cose che ti sono state raccontate, quelle case, quei luoghi che erano nei loro racconti, cambia il modo in cui ti vedi, e magari torni a casa e ti senti più italiano o comunque diverso. Bisogna considerare questo viaggio come un momento di ridefinizione della propria identità”.

L’idea è quella di raccogliere storie, esperienze e punti di vista per creare qualcosa che potremmo chiamare “cinema personale soggettivo”, cioè film che si focalizzano su un punto di vista personale molto specifico per parlare di aspetti sociali più ampi. Si parla di una persona, di una famiglia, di una casa, di un paese per rappresentare tutta una realtà. Paul spera di fondere le diverse prospettive delle persone in Italia e a Montréal per analizzare la memoria soggettiva ed esaminare i temi della memoria e degli obblighi familiari.

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