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Viaggio nel microbiota: ‘Quando il peso non dipende solo da quanto mangiamo’

(Adnkronos) – L’obesità è una condizione multifattoriale che deriva dall’interazione della genetica individuale con l’ambiente. A partire dagli anni 1970-80, la prevalenza dell’obesità nel mondo ha continuato progressivamente a salire, tanto che nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità stimava che circa 2 miliardi di adulti nel mondo fossero in sovrappeso. Indubbiamente il cibo sempre più conveniente, facilmente reperibile, ad alta densità energetica e di scarsa qualità, oltre che l’eccesso di nutrizione sono tra le cause più importanti dell’aumento dell’obesità. Gli stessi fattori hanno anche una notevole importanza nell’alterazione del microbiota. E’ il focus di ‘Fermenti, il segreto della vita’, la rubrica quindicinale curata dall’immunologo Mauro Minelli sotto l’egida della Fondazione per la Medicina Personalizzata ed in collaborazione con AdnKronos Salute, 

“Uno dei primi studi che confermava il rapporto tra microbiota, incremento ponderale e obesità è datato 2006. In quello studio si evidenziava la capacità del microbiota di rendere disponibile per l’ospite una maggiore quantità di energia assorbibile. In particolare, si dimostrava che il trapianto di microbiota da topi obesi ob/ob in topi germ free, cioè del tutto privi al loro interno di qualunque microrganismo, determinava nei topi trapiantati un aumento di peso – osserva Minelli – L’incremento ponderale non si osservava quando, a parità di assunzione di cibo, veniva trapiantato nei topi germ free microbiota di topi non obesi. Tra l’altro, la metformina, noto farmaco ipoglicemizzante, somministrata ai topi, è associata all’incremento di Akkermansia muciniphila, batterio di identificazione relativamente recente che ha un impatto positivo sull’obesità e sul diabete inducendo un calo ponderale, un miglioramento del controllo glicemico e, non ultima, una riduzione dell’infiammazione sistemica.  

A quello studio del 2006 ne sono seguiti altri che hanno dimostrato come i batteri costituenti il microbiota “obesogenico” possiedano enzimi capaci di indurre idròlisi e fermentazione di polisaccaridi che, senza quei batteri, sarebbero indigeribili, e quei polisaccaridi aumentano l’energia disponibile per l’ospite. Studi su gemelli omozigoti discordanti per il peso, hanno permesso di determinare il collegamento tra microbiota, peso e alimentazione” 

“Nel dettaglio, il microbiota influenza la digestione per idròlisi dei carboidrati indigeribili trasformandoli in acidi grassi a catena corta (acido butirrico, acido acetico, acido propionico). L’acido butirrico e il propionico hanno un effetto anti-obesogenico, mentre l’acido acetico ha effetto opposto. I primi due sono principalmente prodotti dalla famiglia dei Bacteroidetes, mentre l’acido acetico dai Firmicutes. E l’acido butirrico, liberato soprattutto dai Bacteroidetes, stimola il rilascio, da parte delle cosiddette ‘cellule L’ dell’ileo-colon, delle ‘incretine’ ovvero ormoni prodotti dopo i pasti a livello gastrointestinale, capaci di esercitare un’importante funzione di controllo sulla glicemia aumentando la secrezione di insulina da parte delle cellule beta del pancreas, rallentando lo svuotamento gastrico e dunque rendendo più soft la curva glicemica postprandiale, e diminuendo l’appetito”, sottolinea l’immunoloo.  

“Si comprende da questo come il microbiota che abita il tratto intestinale possa influenzare in senso positivo o negativo il metabolismo, l’utilizzo degli zuccheri ma anche dei grassi e, quindi, favorire o meno l’obesità. Come detto, è ormai acclarato che l’obesità sia legata ad un microbiota a prevalenza di Firmicutes rispetto ai Bacteroidetes e che tale disbiosi generi anche una maggiore permeabilità intestinale con elevata traslocazione nel circolo sanguigno di fattori patogeni di derivazione batterica. Tali fattori, che equiparano l’obesità ad una condizione di infiammazione cronica, sono alla base della sindrome metabolica poiché in grado di interferire negativamente, tra l’altro, anche con la funzione insulinica. Da qui – conclude – il legame con il diabete tipo 2, il non facile controllo del diabete tipo 1, gli stati allergici, la celiachia. Tale meccanismo risulterebbe essere alla base di altrettante patologie su base neurodegenerativa, principalmente malattia di Alzheimer e malattia di Parkinson, che vedono in una risoluzione della disbiosi ed in un arricchimento del microbiota un’evidente inversione clinico-patologica”.  

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