SE TOGLI ALL’ITALIA IL VINO
di Alessandra Cori
Un taglio dell’1,1% del Pil del Paese, di una produzione di 45,2 miliardi di euro e un valore aggiunto di 17,4 miliardi. È il “costo” stimato dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly e da Prometeia di un’”Italia senza vino”. Il lavoro è stato presentato al Vinitaly di Verona appena conclusosi con l’incontro intitolato “Se tu togli il vino all’Italia. Un tuffo nel bicchiere mezzo vuoto”. L’iniziativa è stata organizzata anche in risposta alla forte offensiva di impronta salutista lanciata da organizzazioni internazionali come l’Oms e da alcuni Paesi, stranamente non produttori, contro le bevande alcoliche. Un’offensiva che non distingue tra bevande in base al differente consumo di alcol né tra abuso e consumo moderato o durante i pasti. Ma che soprattutto discrimina fortemente il vino, la sua storia millenaria e la sua valenza identitaria per paesi come l’Italia nel quale il vigneto è parte integrante del paesaggio e la produzione vinicola è volano di sviluppo economico per economie periferiche e rurali altrimenti condannate alla povertà e allo spopolamento.
Il progetto presentato comprende un’analisi d’impatto economico e un focus su tre territori simbolo a trazione enologica vale a dire Barolo, Montalcino ed Etna. I risultati dell’analisi d’impatto confermano, quantificandolo, il contributo economico del comparto. In caso di scomparsa della filiera del vino, 303mila persone dovrebbero trovarsi un altro lavoro e il Paese rinuncerebbe a un asset in grado di generare, tra impatto diretto, indiretto e indotto, una produzione annua di 45,2 miliardi di euro e un valore aggiunto di 17,4 miliardi di euro. Uno shock per l’Italia pari all’1,1% del Pil.
L’Italia, secondo l’analisi, sarebbe inoltre costretta a rinunciare a un moltiplicatore economico in grado di generare un contributo di 2,4 euro di produzione e 0,9 di valore aggiunto per ogni euro di spesa attivata dall’industria del vino. Infine, ogni 62mila euro di valore prodotto dalla filiera garantisce un posto di lavoro. Senza il vino, si evince dall’analisi, il saldo commerciale del settore agroalimentare scenderebbe del 58% passando da +12,3 a +5,1 miliardi di euro nel 2023. Ma anche allargando il perimetro oltre il settore alimentare, è evidente che si rinuncerebbe ad un fattore di successo determinante per il made in Italy. Il vino lo scorso anno si è infatti posizionato al secondo posto nel surplus commerciale generato dal made in Italy, dietro a gioielleria/oreficeria, che a differenza del vino ha beneficiato di un rilevante “effetto prezzo”, e davanti a pelletteria, abbigliamento, macchine per packaging e calzature.
Senza il vino scomparirebbe inoltre il turismo enologico che coinvolge annualmente circa 15 milioni di persone fra viaggiatori ed escursionisti con budget giornalieri superiori del 13% a quelli del turista medio, per una spesa complessiva di 2,6 miliardi di euro.
“L’Italia senza il vino- ha commentato il ministro dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida- sarebbe una Nazione più povera, non solo a livello culturale e ambientale, ma anche sul piano economico, in quanto il settore vinicolo è un asset strategico per l’occupazione e per l’export italiano nel mondo. Il Governo Meloni, da subito, ha compreso l’importanza del settore e delle filiere annesse, per questo l’ha messo al centro della sua agenda, valorizzandolo e rendendolo sempre più competitivo e riconoscibile nel mondo. La strada è quella giusta e per questo continueremo in questa direzione”.
Infine, molto efficaci le ricostruzioni effettuate dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly su come sarebbero oggi tre territori particolarmente vocati come Barolo, Montalcino e l’Etna senza il vino. Tre territori, spiegano all’Osservatorio Uiv-Vinitaly, in cui ogni bottiglia di vino prodotta e consumata in loco è in grado di generare un impatto quantificabile in 117 euro a bottiglia a Montalcino, 109 a Barolo e 82 euro sull’Etna.