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Ucraina, enigma Nord Stream: a un anno dalle esplosioni è ancora mistero

(Adnkronos) – È passato un anno da quando una serie di esplosioni sottomarine danneggiarono gravemente i gasdotti Nord Stream 1 e 2, acuendo le tensioni geopolitiche già forti per l’invasione dell’Ucraina. Le indagini di tre Paesi hanno tentato, finora senza successo, di ricomporre il puzzle di questo thriller nel Mar Baltico, in un contesto in cui tutte le parti in conflitto – vale a Mosca e Kiev – sembravano avere un movente o avrebbero potuto trarre vantaggio dall’accaduto. Il sabotaggio ad oggi rimane un enigma. 

Il 26 settembre del 2022 al largo dell’isola danese di Bornholm si verificarono quattro enormi fughe di gas, precedute da esplosioni sottomarine a distanza di poche ore l’una dall’altra, sui Nord Stream 1 e 2, i gasdotti che collegano la Russia alla Germania e che trasportavano la maggior parte del gas russo verso l’Europa. Le esplosioni vennero subito denunciate dalle autorità occidentali come un pericoloso atto di sabotaggio. Secondo l’Agenzia danese per l’energia, le tre sezioni danneggiate contenevano 778 milioni di metri cubi di gas naturale e la fuoriuscita risultante è stata probabilmente una delle più grandi perdite di gas metano nell’atmosfera. 

Le implicazioni del sabotaggio erano significative: un attacco alle infrastrutture critiche di uno Stato membro della Nato minacciava di trascinare in guerra l’Unione Europea e l’Alleanza. Inoltre la tempistica dell’attacco era molto sospetta dal momento che in quella fase l’Europa stava cercando di sottrarsi alla dipendenza dall’energia russa.  

L’attacco suscitò scalpore a livello mondiale, ma in realtà non ebbe effetto immediato sull’approvvigionamento energetico dell’Europa. A quel tempo, infatti, la società energetica statale russa Gazprom aveva interrotto la fornitura di gas tramite il Nord Stream 1, mentre il gasdotto gemello Nord Stream 2, completato alla fine del 2021 e per molti anni oggetto di contesa tra Berlino e Washington, non è mai entrato in servizio. Quest’ultimo era un progetto da 11 miliardi di dollari che gli ucraini, così come gli statunitensi, temevano avrebbe concesso alla Russia un’eccessiva influenza sulla sicurezza energetica dell’Europa. 

A un anno di distanza non è ancora chiaro chi abbia fatto saltare in aria i gasdotti Nord Stream. Mentre alcuni funzionari sostengono che l’operazione abbia avuto una complessità tale da poter essere portata avanti solo da uno Stato, altri ritengono che la scarsa profondità delle pipeline abbia reso possibile l’intervento di attori non statali. Ciò su cui tutti sono d’accordo è che l’attacco è stato deliberato. “Si tratta di azioni deliberate, non di un incidente”, disse ai giornalisti il primo ministro danese Mette Frederiksen subito dopo l’incidente. 

Mosca e Kiev hanno entrambe negato ogni responsabilità. Inizialmente i funzionari statunitensi ed europei avevano incolpato la Russia, ma questa idea è cambiata man mano che le indagini si sono sviluppate.  

Nel dicembre 2022, un funzionario europeo affermò al Washington Post che a quel punto non vi erano prove conclusive che suggerissero un coinvolgimento russo, un’opinione che ha trovato conferma poi nei mesi successivi. E questo nonostante alcuni servizi segreti occidentali avessero dimostrato la presenza di navi da guerra russe intorno ai luoghi degli attacchi nelle settimane precedenti le esplosioni. 

A febbraio, il giornalista americano Seymour Hersh sostenne in un articolo su Substack basato su una fonte anonima che sarebbero stati sommozzatori della Marina statunitense, operando sotto copertura durante un’esercitazione Nato con la Norvegia nel Mar Baltico, a piazzare esplosivi sui due gasdotti nell’estate del 2022, ricevendo successivamente l’ordine di farli esplodere in risposta all’invasione della Russia. L’Amministrazione Biden ha categoricamente negato l’accusa. 

A marzo, funzionari occidentali avevano dichiarato al Washington Post che alcune informazioni – basate su comunicazioni di intelligence – suggerivano la mano di un gruppo filo-ucraino, che forse avrebbe operato all’insaputa di Kiev. Lo stesso quotidiano rivelò – secondo documenti di intelligence trapelati e condivisi sulla piattaforma di Discord – che mesi prima delle esplosioni la Cia aveva appreso da un alleato che l’esercito ucraino aveva pianificato un attacco segreto ai Nord Stream. 

Le ipotesi si sono susseguite quasi senza soluzione di continuità. Un ex ufficiale dell’intelligence navale britannica sospettò una nave scientifica russa, la Sibiriakov, mentre il quotidiano danese Information puntò il dito contro la SS-750, un’altra nave russa specializzata in operazioni subacquee dei marine e presente nella zona poco prima delle esplosioni. “L’ipotesi principale è che dietro” il sabotaggio ci sia uno Stato, ha affermato ad aprile il procuratore svedese Mats Ljungqvist, aggiungendo che gli autori sapevano “molto bene che avrebbero lasciato tracce”. 

Gli investigatori tedeschi, nello specifico, si sono concentrati invece sul ruolo di un’imbarcazione noleggiata sotto falsa identità e sospettata di essere stata utilizzata per trasportare gli esplosivi utilizzati nell’attacco. Seguendo questa pista, i media tedeschi Der Spiegel e Zdf noleggiarono questa barca a vela lunga 15 metri, la ‘Andromeda’, per ricostruire il viaggio che – secondo loro – un equipaggio ucraino composto da cinque uomini e una donna avrebbe compiuto dal porto tedesco di Rostock all’isola danese di Bornholm. La conclusione cui sono arrivati Der Spiegel e Zdf è che tutte le piste puntano a Kiev, definendo i risultati “politicamente sensibili”.  

Il coinvolgimento ucraino sarebbe molto difficile da gestire per gli alleati occidentali di Kiev, mentre per Andreas Umland, analista del Centro studi sull’Europa orientale di Stoccolma, uno scenario che coinvolga la Russia è “il più probabile”. Poiché Mosca aveva interrotto i flussi verso l’Europa come presunta ritorsione per le sanzioni occidentali, il sabotaggio avrebbe potuto consentire di “prendere due piccioni con una fava”, ha ritenuto Umland. Da un lato, liberare Gazprom, azionista di maggioranza dei gasdotti, dalle richieste di risarcimento da parte dei suoi clienti invocando un caso di ‘forza maggiore’. Dall’altro, continua l’esperto, gettare sospetti su Kiev e “distruggere la reputazione dell’Ucraina”. 

Germania, Danimarca e Svezia hanno aperto separatamente indagini sull’attacco e continuano a collaborare sulla questione, ma finora non hanno raggiunto risultati concreti. “La natura degli atti di sabotaggio non ha precedenti e le indagini sono complesse”, hanno affermato i tre Paesi in una lettera inviata a luglio al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.  

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