Le preoccupazioni e le speranze dell’agroalimentare italiano
di Alessandra Cori
Siamo al via del mandato del 47° Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e le intenzioni del neoeletto Presidente di “aggredire” con misure commerciali, cioè “dazi”, i prodotti importati dal resto del mondo fanno discutere molto, anche in Italia.
La Presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, in occasione della conferenza stampa annuale alla Camera, dopo aver sottolineato che il protezionismo non è un approccio solo di Trump, ha aggiunto: “I dazi per noi sarebbero un problema, ma non è una novità che le amministrazioni americane pongano la questione dell’avanzo commerciale. Ricordo che in Europa abbiamo iniziato a parlare di competitività solo dopo il piano da 400 miliardi di dollari di Biden per proteggere le aziende americane, creando uno squilibrio competitivo con l’Europa. I dazi non sono la soluzione giusta, ma faremo il necessario per difendere il sistema, parlando con i nostri partner americani ed europei”.
È tuttavia evidente che un eventuale ritorno dei dazi avrebbe una ricaduta pesante con un pericoloso effetto domino sui mercati ai danni dei produttori e a forte discapito dei consumatori. Imporre gabelle artificiose favorirebbe l’Italian sounding ai danni non solo dei produttori di qualità, ma anche dei consumatori. Chi continuerà a scegliere la qualità che solo i prodotti di eccellenza italiani controllati e garantiti assicurano spenderà di più o dovrà ridurre il piacere di gustarli. Chi invece opterà su prodotti non gravati dai dazi, e quindi a prezzi più bassi, rinuncerà alla qualità garantita dalle nostre produzioni soprattutto DOP.
Il mercato statunitense durante l’anno e mezzo (ottobre 2019 – marzo 2021) di vigenza dei dazi trumpiani ha registrato una flessione del 20% e un calo dei prezzi all’ingrosso. Basti pensare che il solo 10% di perdita complessiva si attesterebbe attorno ai 200 milioni di euro all’anno. Per questo motivo, oltreoceano è cominciata la rincorsa ai containers per importare e conservare a lungo i prodotti. Si profila così l’accaparramento per esempio di Grana Padano, di altri formaggi e di prodotti di eccellenza, comprati a prezzi di mercato e destinati ad essere rivenduti da febbraio con i rincari dei dazi e alimentando quindi una speculazione ai danni dei consumatori.

I big dell’agroalimentare italiano contano molto sulla capacità di mediazione del governo italiano, visti anche i primi segnali inviati dallo stesso Presidente Trump. L’auspicio è che l’eventuale applicazione di dazi sia indirizzata verso produzioni e settori strategici per l’economia americana, dove sono evidenti dumping e sostegni da parte di altri Stati per metterla in difficoltà. Occorre convincere l’Unione Europea ad accettare l’importazione libera di prodotti agroalimentari americani ed evitare quindi i loro dazi.
Un caso a parte è rappresentato da nostro Prosecco e dai nostri spumanti. Infatti, nel giorno in cui si insedia alla Casa Bianca Donald Trump, appare evidente che gli americani, dazi o non dazi, non intendono rinunciare agli spumanti italiani e al Prosecco in particolare. Infatti, secondo i dati elaborati dall’Osservatorio dell’Unione italiana vini (Uiv), nel mese di novembre, il primo dopo la rielezione di Trump, l’export di spumanti Made in Italy è cresciuto in volume del 41%. Una performance più che doppia rispetto al progresso fatto registrare anche dai vini fermi italiani, le cui spedizioni sono aumentate del 17%.
Si tratta, secondo Uiv (Unione Italiana Vini), del primo dato post-elezioni che riflette, in particolare per quanto riguarda gli spumanti italiani, la immediata corsa alle scorte in previsione dei dazi sulle merci importate annunciati dal neopresidente.
La corsa di novembre, accompagnata anche dal dollaro forte, ha portato così a un +7% il progresso complessivo delle spedizioni di vino italiano negli Stati Uniti nei primi 11 mesi dell’anno 2024, con un’impennata degli spumanti del 19,5%. Con un valore all’export – spiegano all’Uiv – che supererà quota 1,9 miliardi di euro, gli Stati Uniti valgono il 24% dell’export italiano di vino. “Una quota molto rilevante – ha aggiunto il presidente di Uiv – più che doppia rispetto all’incidenza americana sul totale delle esportazioni Made in Italy, che espone particolarmente il comparto vino in una fase già difficile. Per questo chiediamo al Governo italiano la massima attenzione nella gestione di un dossier che potrebbe rivelarsi decisivo per il futuro commerciale
del vino”.