Da 3 a 1: Justin Trudeau ha tagliato del 66,66% la presenza italo-canadese nel suo nuovo esecutivo. La notizia è nota. A fine luglio, il Primo Ministro del Canada ha mischiato le carte del suo governo con un ampio rimpasto, in cui ha fatto fuori David Lametti, Ministro della Giustizia, diligente e competente (il cui siluramento, quindi, appare ancora più spiazzante e incomprensibile), e Marco Mendicino, Ministro della Sicurezza Pubblica, a cui non sono state perdonate le interferenze straniere, ma soprattutto la leggerezza nella gestione del trasferimento del serial killer Paul Bernardo da una prigione di massima ad una di media sicurezza.
L’unica superstite è Filomena Tassi, riconfermata nel ruolo di Ministra responsabile dell’Agenzia federale per lo sviluppo economico dell’Ontario meridionale. Un dicastero non proprio di primissimo piano. E così, dopo aver offerto le scuse ufficiali agli Italo-Canadesi, nel maggio del 2021, per gli internamenti arbitrari e ingiustificati perpetrati durante la Seconda guerra mondiale e dopo essersi aggiudicato le ultime elezioni, nel settembre del 2021, per il rotto della cuffia (non avendo una maggioranza assoluta in Parlamento, è a capo di un governo minoritario, il secondo di fila), il leader liberale ha pensato bene di disfarsi di quasi tutti i suoi Ministri Italo-Canadesi, in vista delle prossime elezioni federali (fissate per il 2025, salvo sorprese). Come se, dopo aver mantenuto la promessa delle scuse, dovute e sacrosante, il voto della Comunità italiana fosse più che mai garantito, scontato, ovvio, sottinteso, sicuro ‘a prescindere’. Sicuramente le scelte di Trudeau saranno state dettate da motivi politici legittimi e da una strategia ineccepibile, però è strano vedere una Comunità, che conta quasi 2 milioni di cittadini (su una popolazione di 40), essere quasi tagliata fuori dalla guida di un Paese che più di altri ha contribuito a costruire e a sviluppare, dalle infrastrutture all’enogastronomia e all’import/export.
Non vogliamo apparire anacronistici e inopportuni, ma nel Paese post-nazionale per eccellenza, dominato dalla religione laica del multiculturalismo, di cui Trudeau rappresenta il ‘Messia’ vivente, il criterio etnico-culturale ci sembra più che mai attuale e calzante nella scelta dei nostri rappresentanti. Un criterio di giudizio che, invece, è stato messo clamorosamente da parte, a favore di altri parametri di valutazione. Fatto sta che oggi, su 38 Ministri, una sola è di origini italiane. E in democrazia, si sa, la forma è sostanza. Francamente, si tratta di un ridimensionamento imprudente e quasi irrispettoso. Certo, Trudeau è riuscito a fare addirittura peggio nel 2015, quando, all’alba del suo primo mandato, finì per partorire un governo addirittura senza esponenti della folta e influente Comunità italiana. Ci si era illusi che Trudeau avesse imparato dai propri errori e invece si è rivelato recidivo. Una cosa è certa: il voto italo-canadese, soprattutto quello delle nuove generazioni, è tutto da conquistare. E mai come alle prossime elezioni proprio gli Italo-Canadesi, il cui tasso di affluenza alle urne è storicamemente molto elevato, potrebbero costituire l’ago della bilancia tra maggioranza e opposizione. Anche alla luce dei recenti sondaggi a dir poco deludenti, se non allarmanti, per il Partito Liberale. In base all’analisi comparata delle ultime rilevazioni a livello federale (Nanos Research, Abacus Data, Leger e Mainstreet Research), effettuate a partire dallo scorso 7 luglio, infatti, il Partito Conservatore ha una media generale del 36,6%, mentre il partito guidato dal Primo Ministro Justin Trudeau non va oltre il 28,9%. Tutto è ancora ribaltabile, sia chiaro. Ma la “de-italianizzazione” del governo liberale potrebbe essere un altro, pesante punto a sfavore di chi, logorato da tre mandati, gode sempre meno del favore dei pronostici.