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Tra David di Michelangelo pornografico e McGill dal passato schiavista… il senso della storia e dell’arte in pericolo

Il David è una scultura, alta 520 cm (incluso il basamento di 108 cm), realizzata da un blocco di marmo dal grande Michelangelo Buonarroti, databile tra il 1501 e l’inizio del 1504 e conservata nella Galleria dell’Accademia a Firenze. Largamente considerato un capolavoro della scultura mondiale, è uno degli emblemi del Rinascimento nonché simbolo di Firenze e dell’arte italiana all’estero. Il soggetto del David, fortemente radicato nella tradizione figurativa fiorentina, venne rielaborato evitando gli schemi compositivi consolidati, scegliendo di rappresentare il momento di concentrazione prima della battaglia. I muscoli del corpo sono poderosi ma ancora a riposo, tuttavia capaci di trasmettere il senso di una straordinaria potenza fisica. L’espressione accigliata e lo sguardo penetrante rivelano la forte concentrazione mentale, manifestando quindi la potenza intellettuale che va a sommarsi a quella fisica. Qui l’eroe biblico è rappresentato nel momento in cui si appresta ad affrontare Golia, il gigante filisteo; nella mano destra, infatti, stringe il sasso con il quale sconfiggerà il nemico da lì a poco. Lo sguardo fiero e concentrato è rivolto a Golia, con le sopracciglia aggrottate, le narici dilatate e una leggera smorfia sulle labbra che forse tradisce un sentimento di disprezzo verso il gigante. L’opera era stata originariamente collocata in Piazza della Signoria, come simbolo della Repubblica fiorentina, vigile e vittoriosa contro i nemici. Considerato l’ideale di bellezza maschile nell’arte così come la Venere di Sandro Botticelli è considerata il canone di bellezza femminile, molti ritengono che il David sia l’oggetto artistico più bello mai creato.

 

Per 27 anni la Prof.ssa Hope Carrasquilla ha insegnato Storia dell’Arte e da un anno era la preside della Tallahassee Classical School in Florida. È stata costretta dal Consiglio scolastico a dimettersi per aver mostrato una foto del David di Michelangelo a degli studenti di prima media, senza informare preventivamente i genitori, come previsto dal regolamento. Alcuni genitori hanno ritenuto il contenuto pornografico e avrebbero voluto essere informati prima. Altri erano seccati perché la lettera per notificare che, quando si studia il Rinascimento, ci sono nudi artistici, quest’anno non era stata mandata. I genitori devono essere informati 72 ore prima di lezioni su temi “controversi”. Il caso ha fatto scalpore in tutto il mondo. Anche se quasi tutti sono rimasti soddisfatti del corso sul Rinascimento e pur riconoscendo la bellezza estetica dell’opera, l’istituto ha spiegato che ha prevalso il concetto dei diritti dei genitori, supremo nella ultra-conservatrice Florida.

 

Confondere l’arte con la pornografia ed essere infastiditi dalla nudità del David vuol dire avere un serio problema con le radici della cultura occidentale, quando è proprio la nudità il simbolo della sua purezza. Si tratta di strumenti didattici. In un’epoca in cui i ragazzini sono continuamente sopraffatti da immagini di nudo ben più volgari, su internet e nei social network, questo puritanesimo inappropriato rivela che stiamo perdendo il senso della Storia e dell’Arte. Basterebbe sapere che alle Olimpiadi dell’antica Grecia tutti gli atleti gareggiavano nudi…

 

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James McGill (1744 – 1813) era un uomo d’affari scozzese, di Glasgow, divenuto personalità in Canada, a Montreal, come commerciante di pellicce e di legname, imprenditore, proprietario terriero nella speculazione fondiaria, proprietario immobiliare, politico, tenente colonnello onorario, filantropo. Tra le sue tante attività, è stato anche proprietario di schiavi. Fu un pioniere negli affari delle grandi compagnie commerciali tra Nord America ed Europa e della borghesia emergente della sua epoca. È noto per essere il fondatore della McGill University. Nel suo testamento ci sono stati importanti lasciti per i poveri di Montreal, l’Hôtel-Dieu de Montréal, le Grey Nuns, l’Hôpital-Général de Québec e due enti di beneficenza di Glasgow. L’eredità più importante di McGill è quella di 10.000 sterline e una residenza estiva che ha lasciato alla Royal Institution for the Advancement of Learning. Il lascito non solo finanziò la McGill University, ma si estese anche alla fondazione di molti altri college e università, tra cui il Dawson College, che iniziò la sua attività nel 1945 come campus satellite della McGill, per assorbire il previsto afflusso di studenti dopo la seconda guerra mondiale.

Il McGill Tribune, giornale studentesco delle McGill University, ha recentemente cambiato il nome della sua testata in The Tribune, per non perpetuare il passato coloniale e schiavista del suo fondatore, James McGill. In un editoriale, la redazione chiede all’Università di fare altrettanto. James McGill e la sua famiglia possedevano in effetti cinque schiavi, neri e autoctoni. Sul suo sito web l’Università riconosce che la fortuna che ha permesso la sua fondazione deriva in parte dalle entrate che James McGill ricavava dal sistema economico coloniale e dal suo commercio con i produttori di schiavi nelle Indie Occidentali. I media studenteschi assicurano di voler continuare a evocare “i sistemi di oppressione che persistono nel campus e nel mondo”. The Tribune vuole anche potenziare e creare maggiori opportunità per il coinvolgimento dei suoi lettori su questi temi, sostenendo che il cambio di nome segnerebbe un passo verso la riconciliazione. Il passato da schiavista del magnate aveva sollevato voci per rinominare anche la stazione della metropolitana McGill. La STM aveva replicato di non avere intenzione di consentire alcuna modifica ai nomi esistenti, “perché fanno parte del patrimonio storico e della toponomastica di Montreal”.

 

È surreale che debba essere una società di trasporto pubblico a ribadire un concetto tanto ovvio, tra l’altro ad una comunità accademica. La damnatio memoriae è un errore madornale che rischia di rivestire continuamente i fatti storici del passato con l’etica morale del momento che non sarà già più la stessa tra 50 o 100 o 200 anni. Ma la Storia è la Storia, ed è magistra vitae anche con – e proprio per – i suoi orrori, da studiare e non ripetere.

 

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