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Taxi, parla l’autista più vecchio Roma: “Quella corsa con Draghi al Quirinale”

(Adnkronos) – “Mi chiamo Giuseppe Finamore, ho 88 anni e sono il tassista più vecchio della Capitale”. Roma, primo pomeriggio. Il sole picchia forte su Piazza Mastai, a Trastevere, in quella che sarà ricordata come una delle giornate più torride di questa pazza estate romana. Una vecchia Fiat Marea color bianco si accosta al ciglio della strada. All’apparenza potrebbe sembrare un taxi come un altro, e in effetti lo è, se non fosse per il suo guidatore speciale. Dall’auto scende un signore dai capelli rossicci, basso e minuto, che a vederlo dal vivo non dimostra affatto l’età impressa sulla patente: “Finamore Giuseppe, classe 1935”, scandisce l’uomo con piglio soddisfatto, mostrando all’Adnkronos il documento che lo attesta come il tassista più anziano di tutta Roma. I colleghi lo conoscono come Peppinello Er Roscetto: è il soprannome che da ragazzino gli hanno affibbiato per via della sua capigliatura fulva e che ancora gli resta appiccicato addosso. Non che a Giuseppe dispiaccia, anzi: “A quei tempi ogni tassista aveva un nomignolo. C’era Er Pomata, un signore lindo e pinto sempre con la brillantina tra i capelli. C’era il Cavallino bianco, Er Cavallo pazzo. Era tutto un soprannome. C’era pure Er morto de sonno: lo chiamavano così perché nun je annava de lavorà”. 

Giuseppe ci invita a salire a bordo del suo taxi – una vettura che ha lasciato alle sue spalle gli anni migliori – per accompagnarci in questo breve tour del centro di Roma. E’ l’occasione per lui di aprire il cassetto dei ricordi. “Faccio questo mestiere dal 1959, parliamo di quasi 65 anni fa”: a quei tempi Mariano Rumor sedeva a Palazzo Chigi, mentre Richard Nixon svolgeva il suo primo mandato alla Casa Bianca come presidente degli Stati Uniti d’America. “Io sono di origine molisana, venni a Roma alla fine del 1948 che ero ragazzino. Ho fatto tanti lavori, tra cui il lavapiatti. Mia madre gestiva un’osteria ma a me non piaceva quel tipo di lavoro. Così – racconta Finamore – presi la patente per fare il tassista e iniziai. La prima macchina che ho avuto era la Fiat 1100 col divisorio”. “A quell’epoca si lavorava a tassametro sotto padrone: prendevi 200 lire di giornata e il 30% sull’incasso. Ma si facevano quattro, cinque corse al giorno. Non era come oggi. Allora il taxi era quasi un servizio di lusso”, prosegue il decano della categoria. 

Tanti, tantissimi i clienti illustri che nel corso della sua lunga carriera Finamore ha ospitato a bordo del suo “tassì”: “Quanti ricordi con Albertone Sordi, l’ho portato in giro spesso. Era il periodo in cui si stava preparando per il film ‘Il tassinaro’: gli spiegavo il lavoro, come funziona il tassametro… Alcune volte l’ho accompagnato all’Ospedale Bambino Gesù, dove faceva le offerte per i bimbi malati. Non credo fosse tirchio come si racconta”. Ma la lista di nomi illustri dello star system è lunga: “Vittorio Gassmann, la Lollobrigida, Kabir Bedi quando ha girato Sandokan: allora era secco secco… Pure il tenore Placido Domingo ho portato, una volta”. E non mancano big della politica o dell’economia: “Ho portato Mario Draghi con la sua signora dai Parioli al Quirinale. Una persona squisita. Ho avuto nel mio taxi anche un altro ex premier, Matteo Renzi”. Quando gli viene chiesto chi sia stato, secondo lui, il miglior sindaco di Roma, Giuseppe non ha dubbi: “Luigi Petroselli. Con lui cominciammo a ottenere qualche agevolazione per la categoria. All’epoca di Petroselli sono uscite 850 licenze taxi”. 

Venuto al mondo con una certa impazienza (“sono nato settimino la vigilia di Natale del ’35”), Giuseppe non pare animato dalla stessa fretta quando si tratta di pensare al ritiro. Uno scenario ineluttabile e ormai prossimo, alla luce di un’età importante con la quale non si può non fare i conti: “Ringraziando Dio la salute ancora mi accompagna, sono ancora in grado di guidare. La vista va bene. Certo, non è che andrò molto lontano. Ho già quasi deciso di lasciar perdere. Penso che smetterò entro quest’anno, o quello prossimo. Largo ai giovani, direbbe qualcuno. Mi mancherà molto questo lavoro, soprattutto il contatto con le persone”. 

65 anni di servizio, nel corso dei quali è cambiato tutto: Roma, l’Italia. “Quando ho iniziato non c’era tutta ‘sta gente. Servirebbero più corsie preferenziali, soprattutto in periferia per accedere alla città. Lì non si cammina. Il traffico è quello che è”. Gli anni ’60, quelli della Dolce Vita in cui Roma si impose come la Hollywood sul Tevere, restano i migliori secondo Finamore: “Tutti i più grandi attori frequentavano il Cafè de Paris. Durante il turno di notte facevamo la fila aspettandoli lì fuori”, racconta il tassista indicando attraverso il finestrino lo storico bar di Via Veneto. “Era un bel periodo, girava qualche lira in più. Quando ho cominciato io il tassametro partiva con 90 lire, poi 110, poi 130. Oggi si parte da 3 euro, ma questa tariffa la teniamo da 15 anni e più. Purtroppo oggi la vita è diventata più cara”. Maledetta inflazione. 

“C’è chi dice che quella dei tassisti sia una lobby, è vero?”, chiediamo a Giuseppe. “Non è così – risponde -. I tassisti sono persone oneste, a me è capitato alcune volte di trasportare qualche portatore di handicap o anziani che dovevano andare all’ospedale. E non li ho fatti pagare. Ma non solo io, anche altri colleghi. Siamo persone coscienziose, almeno il 99% della categoria è fatto da persone perbene”. “E di Uber cosa pensa?”. “Uber è una multinazionale e fa un lavoro diverso dal nostro. Oggi tutto è diventato moderno, tutto cambia. Non posso essere contro o a favore. Certo, qualche cosa ti tolgono. D’altronde è la vita, tutto cambia”. Ai turisti stranieri, a Finamore piace raccontare la storia di Roma, da Giulio Cesare ai Papi: “Ma l’inglese lo parlo poco, qualcosina”. 

La corsa è quasi terminata. Ma c’è ancora spazio per qualche domanda a questo arzillo 88enne: “Il cliente a cui è rimasto più affezionato?”. “Un signore che si chiamava Pietro Bagnoli, come il paesino del Molise in cui sono nato (Bagnoli del Trigno, provincia di Isernia). Viveva all’Ostiense. Gli mancavano tutte e due gli arti superiori, perché durante la guerra si fece scoppiare in mano una bomba per salvare donne e bambini in fuga. Lui scriveva e mangiava coi monconi. Quell’uomo mi è entrato nel cuore. Certo, non sono mancati i brutti ceffi: mi è capitato di essere rapinato, più volte. Succede”. L’auto bianca si ferma e prima di salutare Giuseppe gli chiediamo come riempirà le sue giornate dopo la meritata pensione: “Le trascorrerò facendo le miniature. Ho realizzato un modellino che raffigura il paesello del Molise in cui sono nato. E’ la mia passione”. Il tassametro è fermo. Anzi, per la verità non si è mai acceso: “Questa corsa – sorride il vecchio tassinaro – la offre Er Roscetto”. (di Antonio Atte) 

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