lunedì 22 Luglio 2024 | 20:30

Il giornale italiano 1° in Québec e in Canada

Pubblicità

ULTIM'ORA ADNKRONOS

Storia dimenticata: Arditi e “Caimani del Piave”

Dal 15 al 23 giugno 1918 ebbe luogo la storica ed eroica Seconda Battaglia del Piave. Dopo Caporetto, l’Esercito italiano si trincerò sulle sponde del fatidico Piave. La celebre scritta sui ruderi di un casolare la dice lunga sulla drammaticità del momento: “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati”. Chi la scrisse fu Ignazio Pisciotta. Era nato a Matera da genitori modesti e semplici, mutilato in guerra, più volte decorato al valor militare. La tragicità del momento, il periodo solstiziale e il clima eroico della Battaglia ispirarono il Vate D’Annunzio a definire lo scontro: “La battaglia del solstizio”.

 

È in questa tragica atmosfera che nacquero gli Arditi. Il 29 luglio 1917, per dare una svolta vincente al Regio Esercito Italiano impegnato sul fronte della Prima Guerra Mondiale, fu creato un nuovo corpo speciale d’assalto, il cui valore e la cui preparazione militare fu tale da ispirare i futuri gruppi incursori delle altre nazioni belligeranti (tra cui i Marines statunitensi). Ma chi erano, chi furono, da dove provenivano questi soldati votati anche all’estremo sacrificio? Il nucleo fondatore proveniva dai Bersaglieri, dagli Alpini e in seguito gradualmente anche da altri corpi militari dell’Esercito Italiano. Tutti, però, erano accomunati dal fatto di essere volontari. Essi costituirono le prime forze speciali (Reparti d’Assalto) dell’Esercito italiano, durante la Grande Guerra. Il loro improvviso e provvidenziale intervento diede una scossa, un tornante decisivo alla logorante e statica guerra di trincea, rivoluzionandone la strategia operativa. La loro nascita fu dovuta da un lato ad alcuni brillanti ufficiali italiani, stanchi della guerra di trincea, dall’altro alla necessità di contrastare e neutralizzare le temute “Sturmtruppen” (truppe d’assalto) austro-ungariche.

 

L’addestramento del nuovo Reparto d’assalto del Regio Esercito aveva una durata di 2-4 settimane ed era estremamente impegnativo e studiato fin nei minimi dettagli. Esso comprendeva esercizi ginnici, lotta, prove di coraggio e prontezza di riflessi. Alle azioni coordinate di gruppo con l’ausilio di cannoni, mitragliatrici e lanciafiamme, si aggiungeva la prontezza nelle iniziative individuali di fulminei assalti con bombe a mano, combattimenti corpo a corpo e l’uso del loro fatidico pugnale. Anche l’uniforme venne accuratamente studiata per essere funzionale. La giubba era a “collo risvoltato e aperto”, con sulla schiena un’ampia tasca alla “cacciatora” per le bombe a mano e l’eterno pugnale d’assaltatore alla cintura. Completava l’uniforme un maglione nero o grigioverde a girocollo, o camicia e cravatta nera. Altro elemento caratteristico della divisa fu il distintivo cucito sulla manica sinistra: un gladio romano in un serto di quercia e di alloro. Dal 16 agosto 1917 vengono introdotte le mostrine di colore nero a due punte, da cui il termine “Fiamme Nere” con cui vengono spesso indicati gli Arditi stessi.

Nella prima immagine, le rovine di una casa su cui fu scritta la famosa frase: “Tutti eroi! O il Piave, o tutti accoppati!”. Nella seconda immagine, il glorioso simbolo degli Arditi, un gladio romano coronato da fronde di quercia e di alloro. Nella terza illustrazione: un Ardito intento a scagliare la sua micidiale bomba a mano

La scelta del nero fu un omaggio al patriota risorgimentale Pier Fortunato Calvi, solito indossare una cravatta nera, simbolo dei carbonari veneziani che liberarono Manin e proclamarono nuovamente la Repubblica Veneta. Il nero non è stato l’unico colore degli Arditi.  In un primo tempo, infatti, vennero mantenute le mostrine cremisi nei reparti costituiti da ex-Bersaglieri e verdi nei reparti costituiti da ex-Alpini. Oltre alle mostrine, all’inizio gli arditi provenienti dai Bersaglieri conservarono il loro Fez, e quelli provenienti dal Corpo degli Alpini il loro cappello alpino. Furono i generali Cattaneo e Zoppi, quest’ultimo comandante della Prima divisione d’assalto degli Arditi, a consacrare e ufficializzare a tutti gli effetti l’utilizzo del Fez nero per tutti gli Arditi, retaggio dei Bersaglieri, però neri come il colore scelto per le truppe d’assalto. Simbolo questo, assieme ad altri, divenuto celebre in seguito nella storia d’Italia. Oltre al celebre Fez nero, a rappresentare l’indole dell’Ardito, ex-Bersagliere o ex –Alpino fu il loro celebre distintivo: un Gladio romano, simbolo di onore e coraggio, con pomolo a testa di leone, simbolo di forza, o a testa d’aquila, simbolo del potere, iscritto tra un serto d’alloro, simbolo di vittoria e una fronda di quercia, simbolo di lealtà e forza. Il nodo Savoia lega i rami all’arma sulla cui guardia campeggia il motto sabaudo FERT, risalente al 1364 (Acronimo di “Fortitudo Eius RhoduTenuit”, ovvero: “La sua forza preservò Rodi”, o l’antica parola “Ferte”, ossia fortezza).

 

Contrariamente alla leggenda, non erano ammessi nel corpo i pregiudicati, anche se chi era stato colpito da provvedimenti disciplinari o dalla giustizia militare poteva fare domanda per entrare nel corpo in cambio di una riduzione della pena. Gli aspiranti Arditi erano arruolati su base volontaria, però in seguito iniziarono ad essere designati dai propri comandi tra i soldati più esperti e coraggiosi delle compagnie di linea, scegliendoli tra i militari già decorati al valore. Dopo un accertamento circa l’idoneità militare come Arditi mediante prove di forza, destrezza e sangue freddo, venivano addestrati all’uso delle armi, alle tattiche innovative di assalto, alla lotta corpo a corpo con o senza armi, il tutto completato da una continua preparazione atletica. In particolare, venivano impartite lezioni per il lancio delle bombe a mano, l’utilizzo del lanciafiamme e della mitragliatrice, oltre alla scherma con il pugnale. 

(Continua)

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

NOTIZIE RECENTI

Online Shopping in BangladeshCheap Hotels in Bangladesh