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Siria, al-Jawlani: “Mondo non ha nulla da temere”. Il monito di Israele

(Adnkronos) – Il mondo “non ha nulla da temere” dalla nuova Siria. Il messaggio rassicurante arriva da leader del gruppo Hayat Tahrir al Sham (Hts), Mohammed al Jawlani, che dopo il crollo del regime di Assad appare intenzionato ad aprire una nuova era di dialogo. ”Le paure sono inutili, se Dio vuole. La paura derivava dalla presenza del regime di Assad”, dice Jawlani, intervistato da Sky News. La nuova Siria si colloca in un quadro profondamente cambiato negli ultimi mesi: ‘Lla fonte delle nostre paure proveniva dalle milizie iraniane, da Hezbollah e dal regime che ha commesso i massacri a cui stiamo assistendo oggi”. Ma ”non verrà permesso un ritorno al panico”, garantisce. 

Il leader della rivolta che ha portato alla deposizione di Assad assicura che ”la Siria verrà ricostruita. Il Paese si sta muovendo verso lo sviluppo e la ricostruzione. Sta andando verso la stabilità. La gente è esausta per la guerra. Quindi il Paese non è pronto per un’altra guerra e non ci entrerà”, aggiunge. 

 

Il paese vive giorni complessi ed è alla ricerca di un precario equilibrio. Promette ”calma e stabilità” il primo ministro ad interim, Mohammed al-Bashir, chiamato a favorire la transizione verso la svolta piena. Nel corso della prima intervista rilasciata dopo la nomina, all’emittente al-Jazeera, afferma che dopo 13 anni di guerra ”adesso è il momento che il popolo goda di calma e stabilità”. 

Il “governo di transizione avrà una durata di tre mesi”, fino al prossimo marzo, ha annunciato lui stesso in un video diffuso dall’opposizione siriana dopo aver spiegato di aver incontrato i membri dell’ex governo di Bashar al-Assad per organizzare ”la fase di transizione dei prossimi due mesi” fino a quando non avremo ”un ordine costituzionale al servizio del popolo siriano”.  

“Abbiamo invitato i membri del vecchio governo e alcuni direttori dell’amministrazione di Idlib e delle aree circostanti per facilitare tutti i lavori necessari per i prossimi due mesi, finché non avremo un sistema costituzionale in grado di servire il popolo siriano”, dice al-Bashir.  

 

E mentre Mosca conferma che Assad è in Russia (“E’ al sicuro e questo dimostra che la Russia agisce come necessario in queste situazioni straordinarie”, ha affermato il vice ministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov), Israele fissa paletti precisi: “Chiunque segua le orme (del presidente deposto Bashar, ndr) al-Assad finirà come lui”. 

“Non permetteremo a un’entità terroristica islamica estremista di agire contro Israele da oltre i suoi confini. Faremo di tutto per rimuovere la minaccia”, è il monito rivolto alle nuove autorità siriane dal ministro israeliano della Difesa, Israel Katz.  

A stretto giro arrivano anche le parole del premier Benjamin Netanyahu, più distensive: ”Israele vuole relazioni diplomatiche con il nuovo regime in Siria”. Ma, in un videomessaggio condiviso sui social, anche il primo ministro avverte: ”Se questo regime consente all’Iran di stabilirsi in Siria e di trasferire le armi, pagherà un prezzo elevato”. 

L’esercito israeliano negli ultimi giorni ha condotto circa 480 attacchi aerei in 48 ore contro obiettivi militari strategici in Siria: “L’Idf ha colpito la maggior parte delle riserve di armi strategiche in Siria, impedendo che cadessero nelle mani di elementi terroristici”, la nota del’esercito. Tra gli obiettivi c’erano 15 navi militari, batterie antiaeree e siti di produzione di armi in diverse città. 

“Le Idf hanno operato in Siria negli ultimi giorni per colpire e distruggere capacità strategiche che minacciano lo Stato di Israele. La Marina ha operato con grande successo per distruggere la flotta siriana”, le informazioni diffuse da Katz, durante una visita alla base nave di Haifa all’indomani dei raid che hanno preso di mira il porto siriano di Latakia. 

 

Sullo sfondo, il ruolo degli Stati Uniti, tra la disponibilità mostrata dal presidente uscente Joe Biden a collaborare con la nuova leadership siriana e la posizione più defilata di Donald Trump, convinto che gli Usa non debbano farsi trascinare in una ‘battaglia’ che non li riguarda. 

Per ora, le truppe americane presenti in Siria non si muoveranno, dice il vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jon Finer. “Quelle truppe sono lì per una ragione molto specifica e importante, non come una sorta di merce di scambio”, spiega Finer. Le truppe statunitensi ”sono lì ormai da quasi un decennio o più per combattere l’Isis” e ”siamo ancora impegnati in quella missione”. 

Secondo Politico, nell’Amministrazione Biden c’è un dibattito acceso sulla possibilità che Hayat Tahrir al-Sham (Hts) venga rimosso dalla lista delle organizzazioni terroristiche. La testata Usa cita quattro funzionari statunitensi, alcuni dei quali non più in carica, che hanno accettato di parlare della questione a condizione di anonimato. “C’è un’enorme concitazione per vedere se, come e quando possiamo togliere dalla lista Hts”, ha dichiarato uno dei funzionari in carica. 

In base alla legge statunitense, il segretario di Stato può designare gruppi come Organizzazioni terroristiche straniere (Fto) se si impegnano in attività terroristiche e minacciano la sicurezza degli Stati Uniti. La designazione ‘Fto’ espone il gruppo e i suoi sostenitori attivi a sanzioni e procedimenti penali. Il processo contrario, ossa il ‘delisting’, arriva solo dopo lunghe deliberazioni interne tra funzionari della sicurezza nazionale, spiega Politico, secondo cui inoltre nessun presidente vuole essere visto come qualcuno che dà carta bianca ai terroristi revocando prematuramente la sua designazione Fto. 

Nessuno a Washington piange la caduta di Assad, prosegue Politico, ma ci si interroga se il leader di Hts, Abu Mohammad al-Jawalni, sia il vero leader moderato che dice di essere o un lupo travestito da agnello. Intanto ieri il Dipartimento di Stato ha chiarito che al momento non è in corso una revisione specifica dello status di Hts come Organizzazione terroristica straniera. Tuttavia, ha spiegato che tali designazioni sono costantemente sottoposte a revisione e che ciò non vieta ai funzionari statunitensi di dialogare con il gruppo. 

 

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