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Senza cure 70% malate osteoporosi, esperti ‘formare il territorio’

(Adnkronos) – In Italia quasi 2,9 milioni di donne avrebbero bisogno di un trattamento anti-osteoporosi, ma il 71% – oltre 2 milioni – non ne ricevono nemmeno uno. Un gap terapeutico rilevato dall’International Osteoporosis Foundation (Iof) nella seconda edizione dello studio Scope (Scope ’21), che entro 12 anni aumenterà di quasi un quarto l’incidenza di fratture da fragilità nel nostro Paese. “E’ giunto il momento di interrompere questa spirale negativa e di agire, individuando per tempo i pazienti fragili e trattandoli tempestivamente”, esorta Iacopo Chiodini, presidente Siomms (Società italiana dell’osteoporosi, del metabolismo minerale e delle malattie dello scheletro), che insieme ai colleghi intervenuti oggi a Milano alla presentazione dell’anticorpo monoclonale romosozumab sviluppato da Ucb in collaborazione con Amgen, approvato dall’Agenzia italiana del farmaco Aifa, segnala la necessità di formare il territorio, oltre che di sensibilizzare le istituzioni a livello regionale e nazionale.  

Formulare proposte strategiche condivise sulle fratture da fragilità è l’impegno della Coalizione Frame*, un’alleanza aperta a clinici e associazioni con l’obiettivo di coinvolgere politici e decisori nella lotta all’emergenza ossa fragili. Un problema socio-sanitario ed economico sul quale c’è ancora molto da lavorare anche in termini di consapevolezza, se si pensa ad esempio che “in questo momento un paziente che si frattura non ha esenzioni per patologia: una discriminazione intollerabile rispetto ad altre condizioni che comportano lo stesso rischio di mortalità a un anno”, sottolinea Chiodini, professore associato di endocrinologia all’Università Statale di Milano e direttore della Struttura complessa di Endocrinologia dell’Asst Ospedale Niguarda del capoluogo lombardo. 

“Non accetto più di sentir dire che le fratture non si possono prevenire”, afferma Maria Luisa Brandi, presidente di Firmo (Fondazione italiana ricerca sulle malattie dell’osso) e dell’Osservatorio frattura da fragilità, membro del board Iof. “Una frattura tra le più gravi come quella di femore è uno degli eventi medici più prevenibili in assoluto”, assicura. “Ce lo dicono gli studi: oggi abbiamo terapie in grado di ridurre il rischio del 50% in media, dimezzando di conseguenza i costi” miliardari che queste fratture producono ogni anno e che cresceranno sempre più. “Siamo stati il primo Paese al mondo a redigere le Linee guida sulle fratture da fragilità emanate dall’Istituto superiore di sanità, un orgoglio italiano preso a modello dagli altri Paesi”, ricorda l’esperta. Ora “da questo documento è necessario partire per costruire e diffondere percorsi dedicati ai pazienti fratturati”. 

Come indica il titolo del progetto ‘Capture the Fracture’ lanciato dalla Iof per il suo decimo anniversario, “la prima frattura è un campanello d’allarme che va ‘catturato’ per avviare il paziente verso un percorso corretto e mirato in base alle cause della frattura e al rischio di ri-frattura. Significa che il paziente andrebbe seguito e monitorato dalla prima frattura in poi, effettuando una diagnosi differenziale, individuando un percorso e scegliendo la migliore terapia disponibile”, insiste Brandi. Sul territorio “il problema che abbiamo oggi – evidenzia Chiodini – è che spesso non riconosciamo il paziente a rischio. Chi arriva in Pronto soccorso per una frattura va segnalato immediatamente e indirizzato verso un percorso dedicato”. E “l’obiettivo di Frame è proprio trasferire competenza sul territorio e fra le istituzioni”, perché favoriscano questo dialogo a vantaggio del paziente e del Servizio sanitario nazionale.  

“Oggi il territorio non è pronto a prendere in carico il paziente fratturato” e a farlo “in modo totale, da quando si verifica l’evento frattura al momento del ricovero e a quando viene dimesso, prospettando una prossimità assistenziale e un’indicazione terapeutica o riabilitativa ben precisa”, dice Tiziana Nicoletti, responsabile del Coordinamento nazionale Associazioni malati cronici e rari di Cittadinanzattiva. Invece “è necessaria una struttura territoriale in grado di farsene carico. Per questo come primo passo abbiamo redatto uno specifico Pdta”, un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale ad hoc, “per uniformare in tutta Italia la possibilità di esercitare un diritto da parte dei pazienti”. 

“Oggi le fratture da fragilità sono sottostimate, sottodiagnosticate e sottotrattate”, rimarca Umberto Tarantino, professore ordinario di malattie dell’apparato locomotore all’Università Tor Vergata di Roma, direttore dell’Unità operativa complessa di Ortopedia e Traumatologia B del Policlinico Tor Vergata UniRoma 2. “Basterebbe già chiedere al paziente ‘come ti sei fratturato?’ per individuarne il rischio e avviarlo a un Pdta mirato”, fa notare lo specialista auspicando la diffusione di servizi dedicati come gli Fls, i Fracture Liaison Services che “ancora mancano in diverse regioni. Al loro interno ci sono diverse figure capaci di interagire nel percorso di presa in carico del paziente con fratture da fragilità, personalizzandolo così da prevenire ri-fratture drammatiche”.  

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