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Salario minimo, gli esperti: “‘Insidie’ anche in contrattazione collettiva”

(Adnkronos) – Salario minimo o no? E come raggiungerlo? Sono i quesiti centrali in questi giorni nel mondo del lavoro, con il confronto tra la maggioranza da una parte e le opposizioni con il sindacato dall’altra. E una delle ‘strade’ al centro della discussione per raggiungere un salario dignitoso è la contrattazione collettiva. Ma anche qui non mancano le criticità. Le recenti inchieste sui vigilantes hanno puntato un faro su una distorsione nell’applicazione dei contratti collettivi e su quello che oggi viene definita come la nuova frontiera del caporalato, un fenomeno non più relegato allo sfruttamento dei lavoratori extracomunitari, ma che “l’autorità giudiziaria ha ritenuto configurabile anche in altri settori, quali il food delivery e la vigilanza non armata, al ricorrere di trattamenti retributivi ritenuti non adeguati, benché in linea con i Ccnl”, afferma ad Adnkronos/Labitalia, Andrea Puccio, founding partner di Puccio Penalisti Associati, con la conseguenza che “si è giunti a criticare la legittimità della contrattazione collettiva, nei casi in cui questa preveda una retribuzione inferiore alla cosiddetta ‘soglia di povertà’”. 

Nel dibattito che si è aperto su questi temi, c’è chi ritiene si debba parlare senza mezzi termini di dumping contrattuale e portare la questione sul piano della rappresentatività degli organismi sindacali. 

“Si tratta di un tema strettamente correlato alla mancata attuazione della seconda parte dell’art. 39 Cost. e alla vicenda della rappresentanza e della rappresentatività sindacale che evoca anche il nodo dell’efficacia erga omnes dei contratti collettivi di lavoro. La giurisprudenza ha individuato una possibile forma di attuazione dell’art. 36 Cost. indicando un criterio per rendere giusta la retribuzione, criterio che oggi pare non funzionare più”, commenta con Adnkronos/Labitalia Giulietta Bergamaschi, managing partner di Lexellent, per la quale sarebbe auspicabile “intervenire sul versante della misurazione della rappresentatività in modo da operare un’accurata selezione delle parti negoziali”. 

Ma in attesa di una eventuale azione da parte del Governo e di un globale riordino dei nodi da sciogliere, si assiste a un continuo rimbalzo della questione dal campo dell’Autorità giudiziaria a quello dei sindacati, con l’effetto di generare incertezza e paradossi retributivi. E intanto c’è chi si chiede chi possa fare qualcosa in questa situazione, limitando gli effetti dell’assenza di una disciplina nazionale sul salario minimo.  

Secondo Attilio Pavone, partner, head of Italy di Norton Rose Fulbright, “fissare un salario orario minimo per legge potrebbe sicuramente aiutare la magistratura a valutare con più certezza i casi limite, ma ritengo estremamente difficile trovare una soluzione legislativa che funzioni per tutte le tipologie di lavoro e per tutti i settori merceologici”. Pavone prosegue con Adnkronos/Labitalia auspicando che “soluzioni più puntuali e aderenti alle singole realtà lavorative possano emergere dalla contrattazione collettiva, a patto però che datori di lavoro e organizzazioni sindacali abbiano un atteggiamento collaborativo e innovativo”. 

E Federico Torzo, partner in Ughi e Nunziante – Studio legale, ricorda che “il Tar Lombardia si è pronunciato per l’annullamento di un verbale dell’Ispettorato del lavoro che aveva riconosciuto ai soci-lavoratori dipendenti della Cooperativa Servizi Fiduciari la corresponsione delle differenze retributive rideterminate secondo le tabelle retributive previste dal Ccnl Multiservizi, più favorevoli di quelle utilizzate dalla cooperativa ai sensi del ccnl vigilanza privata applicato in azienda”. “Secondo il Tar, è il Ccnl più rappresentativo, ovvero quello della vigilanza privata, a determinare il parametro di proporzionalità e sufficienza della retribuzione. Dalla magistratura la palla torna quindi nel campo dei sindacati e del governo”, spiega ad Adnkronos/Labitalia.  

Certo, “le iniziative giudiziarie alle quali stiamo assistendo, non possono divenire strumento ‘ordinario’ per la gestione di problematiche legate ai trattamenti retributivi dei lavoratori”, commenta con Adnkronos/Labitalia Valentina Pepe, Partner di Pepe & Associati, citando in particolare il settore appalti: “In un periodo storico nel quale è accesso il dibattito sul salario minimo legale, sarebbe auspicabile che la contrattazione collettiva e le parti sociali riacquisissero un ruolo centrale nella determinazione delle condizioni di lavoro e salariali in ogni settore”.  

Anche Carlo Majer ed Edgardo Ratti, co-managing partner di Littler Italia, si trovano d’accordo sul fatto che “va favorita una contrattazione collettiva più virtuosa, investendo sul welfare aziendale nonché agendo su agevolazioni fiscali e contributive idonee a tagliare il costo del lavoro e quindi a rendere le buste paga più ricche”.  

“Dal nostro punto di vista, crediamo -spiegano ad Adnkronos/Labitalia- non debbono sussistere ‘tabù’ anche perché la ricetta per il rilancio del mercato del lavoro, e con esso per il rafforzamento della dignità del lavoro, è probabilmente complessa e necessita di una visione globale sicché si potrebbe fondare su una molteplicità di elementi. Per questo motivo, come giuslavoristi e come Littler, guardiamo con grande attenzione all’attuale dibattito politico e sociale. Ci auguriamo però esiti concreti a breve perché, come ben sanno le aziende del nostro Paese, l’economia ed il business viaggiano ad una velocità decisamente superiore rispetto a quella del dibattito italiano”, concludono.  

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