IL PUNTO di Vittorio Giordano
Il Canada resta liberale, ma questa volta la fiducia accordata al Primo Ministro non è stata totale e incondizionata: gli elettori hanno scelto ancora Trudeau, ma senza la stessa convinzione e compattezza del 2015. Trudeau ha mantenuto il potere, ma la sensazione è che questa volta si sia imposto più per la mancanza di alternative credibili che per meriti personali, acquisiti in quattro anni di governo. Nessuno dei leader è riuscito a convincere gli elettori, conquistando la maggioranza dei seggi necessari (170) per governare senza patemi d’animo fino al 2023: Andrew Scheer (Partito Conservatore) poco carismatico e autorevole, Jagmeet Singh (NDP) troppo progressista, Elizabeth May (Partito Verde) troppo schiacciata sull’ecologismo militante, Yves-François Blanchet (Bloc Québécois) troppo Quebec-centrico e Maxime Bernier (Partito Popolare) troppo estremista. Alla fine i canadesi si sono affidati al vecchio adagio popolare: ‘Chi lascia la via vecchia per la nuova sa quel che lascia ma non sa quel che trova’. Da qui la scelta di rinnovare la fiducia a Trudueau, ma senza lasciargli campo libero. A limitarlo saranno le opposizioni, con cui Trudeau dovrà negoziare la sua azione di governo. Per un esecutivo ‘sotto tutela’. Una tutela neodemocratica o blocchista, con Singh favorito su Blanchet a fare da stampella all’esecutivo. Grazie ai 156 deputati liberali eletti, infatti, basterebbe aggiungere i 25 Arancioni e magari i 3 Verdi (183 in tutto, 13 in più rispetto ai 170 necessari) per formare un governo di centrosinistra. Una soluzione naturale e logica in teoria, ma difficilmente praticabile, visto che in campagna elettorale, sia la May che Singh non hanno risparmiato critiche feroci a Trudeau, accusato di predicare bene e razzolare male. Il Bloc di Blanchet ed i Liberali, d’altro canto, sono lontani anni luce su temi fondamendali, come la laicità dello stato ed i poteri della Belle Province, sulla dichiarazione dei redditi e sull’immigrazione. C’è poco da fare: a questo punto Trudeau dovrà turarsi il naso e negoziare. La colpa di questa evidente ‘diminutio’ è solo sua: gli elettori lo hanno ‘dimezzato’ per i troppi passi falsi compiuti: sia di immagine, come il viaggio-fiasco in India e lo scandalo del BlackFace, che di sostanza, come l’acquisto del gasdotto, il debito ed il deficit galoppante, la legalizzazione controversa della cannabis, l’intenzione di contestare in Corte Suprema la legge sulla laicità del Québec ed il tentativo di insabbiare le presunte condotte illecite di SNC-Lavalin. Errori di gioventù ed inesperienza, che gli sono costati popolarità e seggi. Ora governerà con un esecutivo che rischia di diventare un governicchio, indebolito alla nascita dai necessari compromessi al ribasso che dovrà negoziare in Parlamento.