Lo smarrimento delle masse e la conseguente fuoriuscita dal solco tradizionale investe anche il calendario celebrativo della storia nazionale italiana. Tra le tante, faccio riferimento ad una ricorrenza celebrata fino a quasi un cinquantennio fa, di cui si sono dimenticati il senso e i valori originali. Parlo del “4 Novembre”: data in cui il popolo italiano, dalle Alpi alla Sicilia, ricordava i suoi Caduti, celebrava la fine della guerra e la Vittoria italiana nella Grande Guerra.
Celebrando questa data, il popolo italiano non ha mai inteso esaltare la guerra, ma celebrare, al di sopra della politica, la sua unità, consacrata da un gran sacrificio nazionale. Purtroppo, già sin dal 1949, la nuova Italia non voleva sentir parlare di Vittoria delle armi italiane. Una legge stabilì che il “4 novembre”, da Festa della Vittoria e dei Caduti, diventasse un’anonima Festa di tutti i Caduti e dell’Unità nazionale. Con il passar degli anni è stato aggiunto anche: Giornata delle Forze armate. Ma non bastava l’aver annacquato un evento, forse l’unico sentito da tutti gli italiani; dal 1977 la celebrazione è stata trasformata completamente. A seguito di discussioni, polemiche e lotte politiche avvenute nell’arco degli anni Sessanta-Settanta, negli anni Ottanta e Novanta il significato della festa è diminuìito progressivamente rispetto agli anni precedenti. Quanto risulta ver, quel che sostiene lo storico Maurizio Ridolfi: “I rituali e le commemorazioni possono essere un osservatorio privilegiato per comprendere le trasformazioni della memoria culturale di un popolo o di una comunità.” C’era un tempo in cui agli Ossari, all’Altare della Patria, nei cimiteri e presso i monumenti sparsi per la penisola, veniva celebrato il Sacrificio di tutto un popolo. Nella Grande Guerra, per la prima volta, dalle Alpi alla Sicilia, gli italiani si ritrovarono fianco a fianco nella stessa trincea, soffrendo, combattendo e sacrificandosi insieme per lo stesso obiettivo: il riscatto delle Terre irredenti. Il 4 novembre d’ogni anno celebrava e ricordava l’immane prova di tutto un popolo, si ripetevano cerimonie sull’epopea della “Quarta guerra d’indipendenza” e sul sacrificio di 700mila Caduti, 400mila mutilati e un milione di feriti; si ricordava il coronamento di un percorso risorgimentale di unificazione e indipendenza nazionale. Si celebrava l’Italia di Vittorio Veneto, il ricongiungimento alla Madrepatria di Trento e Trieste (Istria, Fiume e Dalmazia prima promesse e poi negate all’Italia, furono poi annesse in seguito). C’era un tempo in cui per le strade procedevano sfilate e tripudi di bandiere nel giubilio della folla. C’era un tempo, perché purtroppo oggi tutto ciò non esiste più. Eppure, il “4 novembre” ha il privilegio di essere stata l’unica ricorrenza passata intatta attraverso due diversi regimi che hanno governato l’Italia nel corso del ‘900: l’Italia monarchica e liberale e quella fascista. Oggi si è dimenticato che il 4 novembre celebrava una Vittoria e un Sacrificio e non va confusa con la giornata delle Forze armate e l’Unità d’Italia. Va anche ricordato, inoltre, che la festa del 4 novembre del 1921 introdusse un ulteriore elemento capace di plasmare i rituali della Nazione: il lungo cerimoniale del Milite Ignoto, la scelta della Salma e il lungo viaggio in treno tra omaggi e bandiere attraverso la penisola, fino alla tumulazione solenne all’Altare della Patria. Purtroppo, la retorica istituzionale, i fermenti di sinistra e del mondo cattolico post-conciliare tolsero seguito ad ogni riferimento patriottico sul significato della già sacra ricorrenza. Così arriviamo al 1977, anno che sacrificherà “il 4 novembre” al nuovo calendario civile; la ricorrenza si limiterà ai messaggi indirizzati dal Presidente della Repubblica alle Forze armate. Dal 2000, a fare le veci dell’unica ricorrenza unificatrice degli italiani (4 novembre) sarà il 2 giugno, festa di una Repubblica che, volente o nolente, nacque da una disfatta e da una sanguinosa guerra civile. Così il “4 novembre” è diventata definitivamente “il vuoto di una festa che non c’è più!”. Un vuoto che riflette lo spirito dell’Italia attuale.