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Quale paziente operare? Quale imputato giudicare?

Durante il periodo delle restrizioni governative che, in un modo o nell’altro, negli ultimi 3 anni hanno prevalso, c’è chi ha auspicato che le persone non vaccinate non potessero avere accesso al sistema sanitario, in caso di necessità. Questa idea non è stata poi adottata per molteplici ragioni. Il motivo principale è che non poteva essere applicata. Infatti, la gente generalmente non pianifica un ricovero in ospedale. Una volta giunti al Pronto Soccorso, chi decide che un paziente non può essere ammesso e che deve quindi affrontare da solo il problema di salute da cui è afflitto? Perché, in concreto, bisogna pensare che una persona che ha bisogno di cure mediche, e che non viene curata, vedrà peggiorare le proprie condizioni di salute, con il rischio di soffrirne i postumi per tutta la vita, o addirittura di morire. Si può facilmente immaginare il procedimento giudiziario che ne conseguirebbe contro chi ha rifiutato l’ammissione in ospedale.

Tuttavia, non ci vuole un indovino per rendersi conto che il sistema sanitario non è all’altezza del suo compito. Se il sistema non può trattare ciascuna persona bisognosa di cure, chi sceglie allora quali pazienti vanno curati e quali no? Perché inevitabilmente viene fatta una scelta, visto che le persone sono in attesa da molto tempo. 

Siamo quindi di fronte a un sistema in cui alcune persone scelgono chi viene curato e chi no, o il cui turno arriverà troppo tardi, quando ormai le condizioni saranno troppo deteriorate. Se il sistema non è in grado di svolgere il suo compito (nonostante il suo costo astronomico, che viene pagato da tutti noi), come possiamo spiegare il fatto che non siamo informati sull’identità delle persone che scelgono chi può accedere o meno alle cure, e sui motivi alla base della loro scelta? E come è possibile, inoltre, che queste stesse persone, la cui scelta arriva a determinare chi vive e chi muore, non siano responsabili della loro decisione?

Il titolo della rubrica di oggi suggerisce che esiste un parallelo tra l’incapacità del sistema sanitario di curare i malati e l’incapacità del sistema giudiziario di processare gli imputati. Il primo elemento in comune è che in entrambi i casi il governo mantiene il controllo del sistema, ma viene meno al suo obbligo di realizzare i risultati promessi.

Il nostro sistema di giustizia penale si basa sul fatto che la polizia indaga sui crimini, identifica i sospetti, presenta le prove a un Procuratore pubblico che decide se c’è materia per un rinvio a giudizio. In caso affermativo, l’imputato viene giudicato in tribunale. A seconda della natura del reato, l’imputato sarà processato davanti a un giudice unico, o davanti a una giuria. L’imputato gode della presunzione d’innocenza. In effetti, la polizia indaga, ma è il giudice, o la giuria, che decide se l’imputato è colpevole o meno del reato di cui è accusato. Il verdetto di colpevolezza o assoluzione avviene al termine del processo. È durante il processo che il Procuratore pubblico ha la responsabilità di presentare le prove per convincere il giudice, o la giuria, della colpevolezza dell’imputato. Queste prove sono solitamente costituite da testimoni e oggetti, come ad esempio un’arma o della droga sequestrata. Il processo deve svolgersi entro un periodo di tempo ragionevole, che va dai 18 ai 30 mesi, a seconda della natura del reato contestato.

È qui che si incontrano i ritardi del sistema sanitario e di quello giudiziario. Nel caso del sistema sanitario, i ritardi portano a un deterioramento delle condizioni del paziente che può portare a serie complicazioni per tutta la vita, se non addirittura alla morte. Nel caso del sistema giudiziario, un ritardo irragionevole comporta l’archiviazione delle accuse contro l’imputato. Sarà semplicemente assolto dall’accusa, anche se ha commesso il reato E QUESTO, PURTROPPO, SUCCEDE PIÙ SPESSO DI QUANTO DOVREBBE. Un criminale che viene rilasciato senza processo rischia quindi di commettere altri reati, che non avrebbe commesso se fosse stato detenuto in carcere. Cosa fare, quindi, per proteggerci da queste persone che ci amministrano e che determinano chi deve vivere e chi dev’essere libero? Stranamente, abbiamo un esempio della forza di una Comunità
che unisce le sue forze. Qualche anno fa, la nostra Comunità ha unito le forze per contrastare le decisioni del governo. Si trattava di permettere la ritrasmissione del segnale RAI. Sfortunatamente per noi, oggi il problema non è l’intrattenimento.

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