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Patto stabilità Ue, fumata grigia: nuovo round prima di Natale

(Adnkronos) – Non sono bastate otto ore di maratona negoziale notturna ai ministri delle Finanze dell’Ue, rinchiusi nell’Europa Building dalle 19 fin quasi alle 4 del mattino, per arrivare a siglare il patto dell’Immacolata. Le trattative sulla riforma del patto di stabilità e crescita non hanno portato ad un accordo tra i 27, ma non tutto è perduto. Per il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni sono stati fatti “passi avanti sostanziali”, anche se “la missione non è ancora compiuta”. Tuttavia, un accordo è questione di “giorni”. Più cauto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha parlato di “settimane” necessarie per arrivare ad un accordo definito nei dettagli.  

Per il tedesco Christian Lindner, se ieri prima della cena l’accordo con la Francia di Bruno Le Maire era sul “90%” della riforma, ora siamo al “92%”. Per Gentiloni, un accordo prima di fine anno è “raggiungibile. Siamo davvero vicini”, ha affermato. Nella lunga discussione notturna al tavolo “non ho visto nessuno con l’intenzione di uccidere il negoziato”, ha osservato. “Naturalmente, dobbiamo ancora finalizzare le discussioni: non ci sono solo aspetti tecnici, ma anche alcuni problemi, specialmente sul modo in cui assicurare che ci sia abbastanza spazio per gli investimenti. Ci sono ancora visioni leggermente diverse, ma sono piuttosto ottimista sul fatto che ci stiamo arrivando. E’ questione di giorni”.  

Anche la ministra dell’Economia Nadia Calvino, che oggi è stata scelta come prossima presidente della Bei (“un’ottima candidata”, per Giorgetti, anche se l’Italia aveva “il suo”, l’ex ministro dell’Economia Daniele Franco), si è detta ottimista: “Ci siamo quasi”, ha detto, preannunciando un possibile Ecofin straordinario per la settimana dopo il Consiglio Europeo della settimana ventura: per Giorgetti la riunione, che dovrebbe essere quella “finale”, è preannunciata tra “il 18 e il 21” di dicembre; potrebbe tenersi, a quanto si apprende a Bruxelles, la sera del 19 dicembre.  

Il nodo che deve essere ancora sciolto del tutto è questo: che cosa succede ai Paesi che finiranno sotto procedura per deficit eccessivo? L’anno prossimo saranno almeno una decina, si prevede, tra i quali quasi sicuramente l’Italia e la Francia. Dunque, questi Paesi dovranno fare una correzione del deficit strutturale (il saldo strutturale è il saldo tra entrate e uscite che un governo registrerebbe a politiche vigenti, se l’economia girasse al suo pieno potenziale, cioè realizzasse il suo Pil potenziale, che è una stima teorica) pari allo 0,5% l’anno. L’Italia con la manovra 2024 fa una correzione doppia, di un punto percentuale, tant’è che Giorgetti ha notato che la manovra è già in linea con le traiettorie richieste dalle regole venture. 

Il problema è che, visto che i tassi d’interesse, e quindi i rendimenti dei titoli di Stato, sono saliti negli ultimi anni, e quindi il servizio del debito, cioè il costo degli interessi che uno Stato deve pagare per rimborsare chi gli ha fatto credito, tenderà ad aumentare nei prossimi anni. Quindi un Paese molto indebitato, come l’Italia ma anche la Francia, potrebbe trovarsi costretto a tagliare proprio quegli investimenti che dovrebbe fare, per affrontare la transizione verde e digitale e le spese per la difesa, necessarie ad aiutare l’Ucraina, che combatte contro gli invasori russi. Non a caso Giorgetti stamani ha sottolineato che i “progressi fatti” sulla riforma del patto di stabilità “testimoniano che c’è un riconoscimento del fatto che non siamo in una situazione normale: c’è una guerra in Europa”. 

La ‘svolta’, a quanto si apprende a Bruxelles, è arrivata intorno alle due di notte, quando il francese Bruno Le Maire e il tedesco Christian Lindner si sono incontrati per risolvere la questione. I due hanno ottimi rapporti, favoriti anche dal fatto che Le Maire parla molto bene il tedesco. Il compromesso, condensato nel ‘considerando’ 24-bis della proposta sul braccio correttivo, prevede una flessibilità per i Paesi sotto procedura per deficit eccessivo, legata all’aumento dei tassi di interesse: in pratica la Commissione, con la quale ciascun Paese deve negoziare il proprio percorso di spesa, terrà conto degli oneri legati ai maggiori interessi, nel tracciare la traiettoria di aggiustamento del Paese sotto procedura, per evitare che quest’ultimo debba tagliare proprio quegli investimenti che dovrebbe fare per rispettare le priorità Ue. La Germania ha accettato che ci sia questa flessibilità sotto procedura, per evitare che l’Ue si spari nei piedi, tagliando proprio quando occorre investire per non venire definitivamente surclassati da Usa e Cina; la Francia, dal canto suo, accetta che questa flessibilità sia temporanea, limitata agli anni 2025, 2026 e 2027.  

Trovata questa intesa, Le Maire e Lindner ne hanno parlato con Nadia Calvino, che si è detta d’accordo con il compromesso, dopodiché, intorno alle due e mezza-tre del mattino anche il ministro Giorgetti ha accettato il lodo. Si forma così un consenso che riunisce quattro grandi Paesi. Per Giorgetti, tuttavia, la temporaneità della flessibilità dovrebbe essere rimossa: il ministro ha fatto notare, come aveva già fatto Mario Draghi quando era premier, che l’Ue, se continua a darsi obiettivi ambiziosi, deve anche dotarsi dei mezzi per conseguirli, affinché non restino “nobili auspici”, destinati a rimanere sulla carta. “Viviamo circostanze eccezionali – ha sottolineato il ministro Giorgetti – e riteniamo che serva un periodo transitorio per tenere conto di queste circostanze eccezionali”. Questo considerando, tuttavia, non piace ad una serie di Paesi medi e piccoli, più ‘falchi’ della Germania: tra questi ci sono sicuramente la Svezia, la Finlandia, l’Olanda e l’Austria, che hanno fatto interventi molto duri. Ora Berlino dovrebbe incaricarsi di convincerli ad acconciarsi al compromesso, facendo leva sul fatto che le regole della procedura per deficit non vengono cambiate: si tratta di una flessibilità transitoria. 

Il negoziato non è finito: anche il braccio preventivo, con l’analisi della sostenibilità del debito, che sarà la base dei piani pluriennali disegnati per gli Stati, assorbe molte energie. La semplificazione del quadro sta essenzialmente nel fatto che occorrerà osservare un percorso di spesa netta, il cui rispetto sarà monitorato tramite un conto di controllo, che prevede determinate soglie. Vengono però introdotte salvaguardie orizzontali, sia sulla riduzione del debito che sul deficit, volute dalla Germania, che l’Italia ha accettato, perché “non si lamenta”, rispetto al dovere di garantire “sostenibilità fiscale”, ha sottolineato Giorgetti. Serve ancora del lavoro tecnico, spiega una fonte diplomatica europea: si procede “passo passo”. Non sembra che sia necessario un dibattito approfondito nel Consiglio Europeo della prossima settimana, fatta eccezione, probabilmente, per l’auspicio che i ministri concludano l’accordo: il ministro Giorgetti ha risposto che ai ministri delle Finanze spetta trovare le “risorse” necessarie ad inverare le priorità politiche individuate dai leader. “Ribadisco che, se giovedì prossimo i governi continueranno a mantenere alti gli standard delle ambizioni europee, le regole fiscali europee devono essere adeguate a questi standard di ambizione”, ha rimarcato. 

Il quadro che si sta negoziando appare tutt’altro che semplice, ma è frutto di un compromesso a 27. Che poi questo nuovo quadro regolatorio sia quello che serve all’Unione per arrivare davvero a giocare il ruolo geopolitico cui a parole aspira, è da vedere. E’ assodato che il ‘vecchio’ patto di stabilità ha accompagnato l’accumulo di un enorme ritardo nei confronti degli Usa, e anche della Cina. Come notava lo European Council on Foreign Relations, nel 2008, anno del fallimento di Lehman Brothers, l’economia dell’Ue, che ha molti più abitanti del colosso d’Oltreatlantico, era solo leggermente più grande di quella americana: 16,2 trilioni di dollari, contro 14,7 trilioni di dollari. Nel 2022, l’economia statunitense era cresciuta fino a raggiungere i 25mila miliardi di dollari, mentre l’Ue e il Regno Unito insieme avevano raggiunto solo i 19.800 miliardi di dollari. L’economia americana è ora quasi un terzo più grande ed è oltre del 50% più grande dell’Ue, senza il Regno Unito. Il ‘vecchio’ patto di stabilità ha provocato una cronica carenza di investimenti pubblici. ll tempo dirà se il patto di stabilità che i ministri troveranno sotto l’albero a Bruxelles, posto che un accordo venga davvero raggiunto, è un vero regalo di Natale per l’Europa o un ‘riciclone’, una riedizione del vecchio patto con un po’ di maquillage. Sperando che non sia un semplice pacco. 

 

 

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