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Pasqua, gloria del “Dio d’amore”, che “per Amor deve morire”
Tre allegorie, tre dimensioni gnostiche che celebrano la Pasqua-Primavera. La prima è Flora-Aprilia che al suo passaggio fonde la neve e cosparge la terra di fiori: il frutto futuro. La seconda è un’allegoria del Verbo: l’Uovo universale primordiale che schiude la vita in una gloria di Luce solare. La terza immagine è l’umano che, assieme alla natura, attraverso A-mor, celebra la vita che si rinnova a Pasqua-Primavera!

 

Cosa vuol significare questo titolo? Quale mistero si cela dietro questa frase “sibillina”? Anche se Pasqua è gia passata, due sono le ragioni per cui mi dilungo sul soggetto. La prima è per accennare sin da quando, e quanto profondamente, quest’evento vernale abbia inciso sulla coscienza dell’umanità. Popoli e civiltà di ogni tempo ci hanno trasmesso simboli e allegorie misteriche che avvicinano l’umano alla dimensione divina. Sin dalla storia più remota, millenni prima della rivelazione bibblica e vangelica, quel che noi designiamo come Pasqua costituì un evento osservato e celebrato da tutte le civiltà del passato, lasciando segni indelebli nelle coscienze, sì da essere reinterpretato e assimilato dalle religioni e civiltà successive. La seconda ragione è che per afferrare, almeno superficialmente, il significato della nostra Pasqua, è essenziale ricorrere all’origine della stessa. Risalire alle origini storiche e religiose di tale festività conferisce all’Evento un significato immanente. Simbolicamente, quattro sono i punti critici dell’anno siderale. I primi due governati dal principio assiale di ascesi e discesa del sole che determinano i due solstizi. Il primo di questi, il “più basso” (nadir) corrisponde alla fine di un ciclo e all’inizio di un nuovo, cioè il 24 dicembre, Natale. Il secondo solstizio corrisponde al punto massimo (zenit) raggiunto dal sole il 24 giugno. I due cicli sommati completano l’anno. Gli altri due punti critici vengono determinati dall’ “asse sostiziale” il cui punto cruciale “d’incontro” avviene a metà nel corso dell’ascesi e della discesa del sole. Quest’ “incontro” cruciale determina gli equinozi (dal latino equi-nox), cioè: notti uguali, della stessa durata. A primavera l’equinozio vernale (hivernus) ed in autunno l’equinozio d’autunno o brumale (dal latino brevina). Simbolicamente il principio verticale maschile (i due solstizi) è visto come il principio spitituale che, con l’ “incontro’’ col principio orizzontale femminile (i due equinozi), crea e determina il principio manifestato (la Croce). Questo meccanismo celeste, se considerato di per sé quale semplice effetto razionale risultante da equilibri astrofisici, appare come una fredda, semplice e logica costatazione. Ma nel contesto umano, questi sono gli elementi cosmici simbolici che sono all’origine delle festività pasquali e di altre celebrazioni. E, quando si tratta di celebrare, vibra la “corda umana”; si entra nei meandri della coscienza, ove i fenomeni cosmici, corrispondenti alle stagioni ed alle trasformazioni della natura, assumono valore simbolico e dimensioni spirituali vissute dall’umanità sin dalle società arcaiche. I simboli rappresentano dimensioni e valori che sono impossibili da spiegare completamente; servono ad evocare. Diceva O. Wirth (Il Potere del Serpente, Atanor): “I simboli sono una finestra aperta sull’infinito’’. I simboli, aggiungo, sono il riflesso di uno stato dell’Essere, hanno un loro profondo significato costituito da intuizioni, convinzioni e…. TRADIZIONE. Ho usato le maiuscole appositamente, poiché per TRADIZIONE intendo non la ripetizione, la conservazione di usi costumi e credenze, ma un ininterrotto e misterioso legame che il rito riallaccia con un ‘’illo tempore’’di eliadeana memoria (M. Eliade, Aspect du Mythe, Gallimard, coll. Idée). Un rituale richiede essere sinceri e “veri’’, poiché il rito è un atto-simbolo archetipale che riallaccia all’ideale, trascendendo tempo e spazio, “reiterado’’, cioè riattualizzando e riallacciando all’istante originario, appunto ad un ‘’illo tempore’’. Oggi la Pasqua viene considerata comunemente come un mistero e come tale lo si accetta senza cercare di capirne il significato. Dante, nell’ultimo verso del Paradiso (Paradiso xxxiii,145) scrive: “L’amor che move il sol e l’altre stelle’’. Questo verso ci rivela, in maniera velata, la sintesi di un mistero, una Via per carpire il simbolo nascosto nel mistero della Pasqua, quale dramma ed epifania del divino. Nella sua opera, Dante trasmette in maniera sibillina delle “verità e principii tradizionali’’. D’altronde, il Sommo poeta è lui stesso a prevenirci: O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, mirate la dottrina che nasconde sotto ‘l velame de li versi strani’’ (Commedia, Inferno, ix, 61-63). E non basta. R. Guenon, nel suo pregiato “L’Esoterismo di Dante”, Atanor,  ci dice che, quando Dante parla dell’amore che governa il mondo e l’universo, di certo non si riferisce all’amore romantico e umano, ma a qualcosa di divino, di trascendente, a qualcosa che rappresenta la vita; ma non la vita quale risultato di una procreazione, bensì la vita quale opposto della morte, che vince la morte. Dante ci parla di un’amore onnipotente che vince. A questo punto il Guenon osserva che la parola AMOR (anagramma di ROMA)   racchiude il messaggio di negazione della morte. Infatti, se si considera la A di Amor come ablativo (A-mor), abbiamo il significato di: “senza la morte’’, cioè la vita che trionfa. D’altronde Virgilio, che Dante scelse come guida, ripete anche lui: “Omnia Vincit Amor” (Virgilio,Bucoliche,X,69), cioè: l’amore vince su tutto! Ecco dunque il Dio d’amore, che per amore deve morire trionfando sulla morte. Ecco la celebrazione del Dio che nega la morte, risorgendo in un trionfo di germogli e di fiori. Ovvero la Vita: Pasqua!                                                                        

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