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Padre Rinaldo Vecchiato: da 50 anni in missione

Il sacerdote scalabriniano festeggiato dai fedeli della Madonna del Monte Carmelo

Padre Rinaldo Vecchiato con gli altri sacerdoti concelebranti. Da sinistra: Mons. Pierangelo Paternieri, Padre Yves Toussaint, Padre Fugolo Giuseppe e Padre Mario Titotto. Presenti anche i Padri Frank Scalia e Pietro Lazzarato
Padre Rinaldo Vecchiato con gli altri sacerdoti concelebranti. Da sinistra: Mons. Pierangelo Paternieri, Padre Yves Toussaint, Padre Fugolo Giuseppe e Padre Mario Titotto. Presenti anche i Padri Frank Scalia e Pietro Lazzarato (Foto di Sara Barone)

di Vittorio Giordano

Montréal – Il 18 marzo scorso, i fedeli della Parrocchia della Madonna del Monte Carmelo, nel cuore di Saint Léonard, hanno reso omaggio a Padre Rinaldo Vecchiato per i 50 anni di sacerdozio. Era il 18 marzo del 1967, infatti, quando è stato ordinato sacerdote: aveva 25 anni anni e mezzo. Un sacerdote umile e semplice, che ha scelto di stare lontano dalla sua diocesi: ha deciso di seguire gli italiani emigrati nel mondo, entrando a far parte della comunità degli Scalabriniani di Bassano del Grappa, il cui Seminario è stato creato nel 1930 (mentre la Congregazione esiste addirittura dal 1887, fondata dal vescovo Giovanni Battista Scalabrini, poi proclamato beato da Papa Giovanni Paolo II il 9 novembre 1997). Un sacerdote da 50 anni al servizio degli italiani lontani dalla Madrepatria. Abbiamo voluto conoscerlo meglio, invitandolo in redazione.

Padre Rinaldo Vecchiato insieme alle sorelle Lina e Michela, venute appositamente dall’Italia per la festa del 50º di sacerdozio
Padre Rinaldo Vecchiato insieme alle sorelle Lina e Michela,
venute appositamente dall’Italia per la festa del 50º di sacerdozio (Foto di Sara Barone)

LA SCELTA SCALABRINIANA– “È stato il parroco di Vetrego, che aveva dei cugini Scalabriniani in Australia e in America, a consigliarmi di scegliere questa Congregazione. A me è subito piaciuta l’idea di viaggiare, anche perché, durante il periodo in Seminario, i Padri che tornavano dalle missioni parlavano di Paesi come Brasile, Argentina e Usa in termini entusiastici”.

LA VITA PASTORALE – Nato a Mirano, in provincia di Venezia, nella diocesi di Treviso, secondogenito, 5 fratelli e 3 sorelle, Padre Rinaldo Vecchiato fu ordinato sacerdote a Salzano nell’anno del centenario di San Pio X. Era la vigilia delle Palme. “La domenica successiva ho celebrato la Messa a Vetrego, una frazione di Mirano”. Una settimana dopo, l’attesa comunicazione della Congregazione: “La mia prima missione sarebbe stata in Nord America, a Montréal. Nonostante avessi chiesto di andare in Brasile o in Francia. Era il 1º aprile del 1967: il Superiore aveva in mano la lettera di Mons. Cimichella e del Cardinale Legér. Lo stesso che l’11 novembre del 1967 avrebbe benedetto la Chiesa della Madonna di Pompei. Dove sono arrivato il 18 dicembre dello stesso anno. Dopo aver trascorso 6 mesi in Inghilterra, per apprendere l’inglese. Sono rimasto a Pompei per 3 anni, prima di trasferirmi nella cittadina di New Haven, nel Connecticut, per 4 anni. Poi di nuovo a Montréal fino al 1992, sempre a Pompei, quindi alla Madonna del Monte Carmelo per 4 anni, dal ‘92 al ’96, e a LaSalle, nella chiesa Madre dei Cristiani. Prima di trasferirmi per 2 anni nella Parrocchia di San Pasquale Baylon, a nord di Toronto, e per 8 anni nella Chiesa di Santa Caterina da Siena, nel Mississauga. Dal 2009 al 2011 sono stato amministratore del Seminario scalabriniano di New York e, nello stesso tempo, parroco nella chiesa di Framingham, vicino Boston. Prima di fare ritorno a Montréal, dove da 6 anni sono parroco della Parrocchia del Monte Carmelo”. Padre Rinaldo parla italiano, inglese, francese, spagnolo e anche un pò di portoghese.

IL DRAMMA DI OGNI EMIGRANTE – “Gli Scalabriniani seguono gli emigranti italiani all’estero: negli anni ‘60 la nostra missione si è aperta a tutte le emigrazioni e allora sono iniziate le missioni anche a Portorico, in Messico, in Colombia, con giovani spagnoli e messicani che hanno sposato la nostra vocazione. Tutti gli emigrati, però, sono accomunati dallo stesso dramma esistenziale: sradicati dal proprio Paese, soffrono di una ferita lacerante che non si rimarginerà mai. GLI ITALIANI DI MONTRÉAL E TORONTO – In questi 50 anni ho incontrato tante giovani famiglie: negli anni ‘60 c’è stato un grande movimento dalla Piccola Italia verso il Mile-End, i quartieri della Consolata e di Pompei, dove ho celebrato fino a 270 matrimoni in un anno. Ho contribuito a formare una nuova generazione, le cui famiglie hanno popolato St-Michel, Montreal-Nord e Ahuntsic. Tutti compatti nel frequentare le celebrazioni liturgiche in italiano. A differenza di Toronto, dove le chiese ‘servono’ tutti i fedeli della zona: San Pasquale e Santa Caterina accolgono, oltre agli italiani, tanti Filippini, Indiani, Pakistani e Srilankesi. Un sistema che preferisco perché fa più Comunità, mentre qui a Montréal i francesi vanno alle messe in francese, gli anglofoni a quelle in inglese e gli italiani a quelle in italiano. Cosa che, secondo me, non ha aiutato la Chiesa locale, perché ha mantenuto delle distinzioni.

I GIOVANI E LE TRADIZIONI – Molti giovani si stanno allontantando dalla Chiesa tradizionale, anche se alla Messa delle 11.30 in inglese ne vedo parecchi. Per fortuna ce ne sono altri che dimostrano una fede arcigna occupandosi della catechesi dei bambini. Molti giovani sono andati via dai quartieri di St-Michel e St-Leonard, alcuni anziani sono passati a miglior vita, ma in generale la percentuale di chi pratica il culto, oggi, è rimasta invariata. E chi si allontana non lo fa per partito preso, come successo negli anni della politica di sinistra e del disprezzo della Chiesa. Oggi la gente è semplicemente indifferente: sempre più persone rispettano il Crocifisso come cultura, senza però viverlo, incontrarlo; lo rispettano senza interessarsene. Ciò che ha salvato la fede nel Signore tra gli italiani sono state le tradizioni culturali: ci sono diverse Associazioni devote a specifici Santi e molti giovani, pur non prendendo parte alle funzioni religiose, partecipano alle feste nelle sale da ricevimento. Per me è un atto religioso anche quello, una condivisione di sentimenti che poi si tramuta in carità e giustizia. Se perdiamo le tradizioni, perdiamo anche la nostra identità: sono convinto che le tradizioni abbiano preservato la nostra religione. Nel dopoguerra la Comunità ha costruito le Chiese della Consolata e di Pompei rimettendoci tempo, denaro e fatica. Per creare un luogo di culto vuol dire che c’è una fervida volontà religiosa.
Che gli emigrati italiani hanno sempre dimostrato di avere”.

RINGRAZIAMENTI – Ringrazio tutte le persone che mi hanno accompagnato a Montréal, spiritualmente e fisicamente: sono sempre stato con tantissima gente e a Pompei, in particolare, porto sempre nel cuore una Chiesa piena tutte le domeniche.

L’ITALIA – All’inizio mi mancava l’Italia, adesso seguo solo il calcio: sono della Juve, guai se la Juve perde! Più in generale, l’Italia è un bel Paese con tanti bei propositi che, purtroppo,
spesso non vengono messi in pratica.

Da sin.: Daisy e Tino Forte, Padre Rinaldo, Serge Putbrese, Reno De Stefano, Carmela e Alfredo Bellitto
Da sin.: Daisy e Tino Forte, Padre Rinaldo, Serge Putbrese, Reno De Stefano, Carmela e Alfredo Bellitto (Foto di Sara Barone)
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