(Adnkronos) – “Le associazioni di pazienti devono poter dialogare con tutti gli stakeholder, ovvero altre associazioni e istituzioni, meglio però se con un approccio collaborativo al fine di trarne maggior beneficio per sé stessi e per gli altri”. Ne è convinta Federica Morandi, ricercatrice in Organizzazione aziendale, Facoltà di Economia, Università Cattolica, tra i docenti coinvolti nella prima edizione di “Raise the Patients’ Voice”, il progetto di alta formazione promosso da Janssen Italia, in collaborazione con Altems (Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari dell’Università Cattolica, Roma) che si conclude venerdì 25 febbraio. Obiettivo dell’iniziativa: rispondere al bisogno da parte delle associazioni di pazienti di comunicare in maniera efficace con le istituzioni.
Alla domanda: come si devono strutturare le associazioni di pazienti per poter dialogare con i diversi stakeholder, la ricercatrice non ha dubbi: “Dobbiamo immaginare gli stakeholder alla stregua di altre associazioni, pazienti e loro familiari, istituzioni – sostiene Federica Morandi -. Nel rapporto con le altre associazioni è necessario partire dalla natura della relazione che si vuole intrattenere, se cooperativo o competitivo. Nei settori complessi spesso è la strategia di cooperazione a portare il maggiore beneficio per sé stessi e per gli altri, trovando punti di connessione per fare massa critica verso l’esterno, adottando un approccio di networking collaborativo, e incorporando nelle proprie routine le pratiche agite da altre realtà di successo. Tutto ciò passa attraverso l’esplorazione, l’apertura, il confronto, l’osservazione”.
E ancora: “Nei rapporti con le istituzioni è fondamentale la co-creazione di linee guida in una visione attiva di tutti gli attori coinvolti. Sebbene alla base di tali rapporti vi sia una costante ricerca di legittimazione agli occhi delle istituzioni, il sistema salute può senza dubbio beneficiare dell’expertise delle associazioni. Da questo discende il ruolo delle competenze in seno alle organizzazioni, necessarie per un dialogo aperto e costruttivo. Infine, nel rapporto con i pazienti e i familiari, il fatto che le associazioni di cittadini e pazienti nascano assieme al Ssn e seguano una dinamica crescente nella loro implementazione già di per sé costituisce un importante messaggio circa il rapporto diadico che lega questi due ambienti, basato su una costante collaborazione”.
Su quali competenze debba avere un leader di un’associazione di pazienti che vuole crescere e confrontarsi con altri stakeholder, Morandi è sicura: “Il tema della leadership è ampiamente dibattuto negli studi di comportamento organizzativo – spiega Morandi -. Alla figura del leader e alle sue caratteristiche sono spesso attribuiti i successi di una organizzazione. La capacità di saper indicare una direzione e una visione ai collaboratori è fondamentale per il raggiungimento dei fini organizzativi e per realizzare una performance adeguata, se non addirittura al di sopra delle aspettative. Sebbene nell’ambito delle associazioni dedite all’advocacy non sia semplice misurare la performance, sono comunque rilevabili alcune proxy circa l’impatto che le associazioni esercitano sulla collettività leggibili alla stregua di risultati. Esse sono ad esempio le attività formative per i pazienti, l’istituzione di sportelli di ascolto, la qualità delle informazioni rese, i rapporti con le istituzioni”.
Ma le competenze “non sono solo il sapere teorico, le abilità (skills) tecniche, ma un ruolo fondamentale è giocato dai comportamenti, il così detto saper essere, che a parità di competenza tecnico/scientifica è in grado di fare la differenza nell’esercizio di un ruolo, compreso quello del leader”. Per Morandi è importante che le associazioni di pazienti si confrontino anche con altre associazioni e istituzioni, perché le associazioni di pazienti “sono delle organizzazioni a tutti e gli effetti, e come tali intrattengono rapporti costanti e continui con l’ambiente in cui operano – sottolinea -. All’interno di esso si rintracciano risorse, fornitori, istituzioni, ma anche altre organizzazioni (associazioni), che insistono nel medesimo contesto. Dunque, secondo la logica dell’organizzazione aziendale le associazioni non potrebbero/dovrebbero esimersi dall’intrattenere rapporti con altre. Tuttavia, il quadro che emerge dalla loro analisi, restituisce uno scenario in cui il networking è più una esigenza, un auspicio, piuttosto che una prassi consolidata. Le associazioni spesso vivono in uno stato di isolamento le une rispetto alle altre, ma contestualmente avvertono la necessità di scambio e di confronto”.
E sebbene “in quasi tutti i settori si osservi con una certa consuetudine l’inclinazione delle organizzazioni a seguire i modelli virtuosi, praticati da esperienze di successo, il così detto mimetismo, nel mondo delle associazioni questo comportamento viene percepito quasi alla stregua di una prassi negativa. Ciò non toglie che esistano delle interessanti e fruttuose collaborazioni che fanno emergere con forza il messaggio che la creazione di occasioni di incontro, confronto, condivisione di buone pratiche diviene un palcoscenico in cui le associazioni possono mostrare i propri punti di forza, le proprie esperienze virtuose, e contestualmente imparare da quanto fatto da altri. In questa prospettiva le associazioni potranno costruire con successo un network efficace duraturo” conclude.