MULTILINGUISMO E INTEGRAZIONE
Una nuova mappa, realizzata dal cartografo canadese Alex Mcphee, risalta la straordinaria varietà di idiomi parlati nella metropoli quebecchese. Nonostante il grafico evidenzi la ricca diversità linguistica della città, l’esperta Annick Germain avverte di considerarla con cautela e attenzione
MONTRÉAL – Montréal è la seconda metropoli più grande del Canada, con circa 1,8 milioni di abitanti. Fuori dal contesto canadese, in tanti tendono a pensare che sia completamente francofona, ma solo il 62% dei suoi residenti parla esclusivamente francese a casa. La città, infatti, è un crocevia di culture e lingue. Circa un milione di abitanti parla inglese e una notevole percentuale di persone utilizza un altro idioma per comunicare.
Il cartografo canadese del Saskatchewan Alex Mcphee ha realizzato e postato su X (ex Twitter) una mappa delle lingue parlate a Montréal: arabo, italiano, spagnolo, mandarino e tagalog. La distribuzione delle diverse comunità linguistiche in tutta la città è sorprendente. Nel lato occidentale dell’isola, il mandarino è particolarmente presente, mentre le lingue arabe dominano a nord. L’italiano è, invece, molto comune nei quartieri di Saint-Léonard e Anjou. Tuttavia, la mescolanza linguistica è evidente in tutto il territorio, con una varietà che riflette le diverse origini dei residenti.
Questo fenomeno rappresenta un unicum tra le grandi città del Nord America. La professoressa e direttrice dei programmi di studi urbani presso l’Institut national de la recherche scientifique (INRS), Annick Germain, sostiene come non solo la diversità linguistica sia maggiore rispetto a metropoli come Toronto (centro più popoloso del Canada con più di 2,8 milioni di abitanti), ma che gli immigrati tendono a disperdersi più ampiamente nel territorio. L’esperta, infatti, per evidenziare questa dispersione, fa notare, per esempio, che la comunità magrebina è presente non solo a Montréal ma anche a Laval e sulla Rive-Sud. Stessa cosa per gli italo-canadesi, presenti in diverse zone dell’area metropolitana. Sempre secondo Annick Germain, questa condizione deve essere considerata positivamente, un’opportunità per avere un ambiente sociale più coeso. Infatti, a Montréal si osserva meno segregazione rispetto ad altre città con interazioni più aperte tra le diverse culture.
Ma quello che oggi è considerato come un fattore assodato – ovvero la coesistenza di più comunità e lingue sul territorio montrealese – non è sempre stata la norma. Dopo il secondo conflitto mondiale, le ondate migratorie dall’Europa hanno portato sempre più persone a stabilirsi vicino ai propri connazionali nei quartieri centrali dell’isola. Questo dato, tuttavia, negli ultimi anni è stato fortemente influenzato da fattori come la crisi abitativa, che hanno modificato questa tendenza. A causa della crisi degli alloggi, infatti, i new comers faticano a trovare sistemazioni accessibili vicine alle loro comunità ed orientano le loro scelte in altri quartieri della città. D’altro canto, il supporto di internet e degli smartphone – sempre più presenti nelle nostre vite – favorisce i processi di comunicazione a distanza, motivo per cui mantenere i contatti con i propri connazionali non è più una priorità. Questa dispersione degli immigrati ha sicuramente facilitato il loro inserimento nel tessuto sociale cittadino. C’è da considerare, inoltre, che l’immigrazione temporanea ha cambiato ulteriormente la distribuzione geografica: “Gli immigrati temporanei non si stabiliscono in un luogo con l’idea di trovare una casa permanente”, afferma la direttrice dell’INRS Annick Germain, evidenziando la fluidità di queste nuove dinamiche.
Tornando ai dati relativi alla mappa stilata dal cartografo Alex Mcphee, sempre la prof.ssa Annick Germain sostiene che devono essere interpretati con estrema cautela. Secondo la studiosa, la massiccia presenza di una comunità cinese a Westmount, ad esempio, non significa necessariamente che il mandarino venga parlato in strada. “Molti preferiscono riferirsi alla lingua d’uso; anche se parlano la loro lingua materna a casa, in pubblico si esprimono spesso in francese o inglese”. Fa notare anche che “molti immigrati a Montréal sono poliglotti, in particolare i giovani, che tendono a mescolare le lingue in uno stesso discorso” e che parlare la stessa lingua materna non implica necessariamente appartenenza ad un unico gruppo culturale: “la concentrazione di parlanti spagnoli, ad esempio, non rappresenta un blocco monolitico, in quanto la lingua è diffusa in molte nazioni con tradizioni distinte”.
La mappa di McPhee offre un’interessante occasione di riflessione sulla ricchezza della diversità linguistica che caratterizza Montréal. Questo fenomeno non solo arricchisce il tessuto sociale della metropoli, ma evidenzia anche la crescente complessità dell’identità culturale della città, un aspetto che va oltre le tradizionali dicotomie tra sostenitori dell’inglese e del francese. Il suo patrimonio linguistico e culturale deve essere valorizzato come punto di forza piuttosto che come elemento di divisione. Solo attraverso la comprensione e l’accettazione di tutte le sue sfaccettature sarà possibile promuovere una convivenza pacifica. Per raggiungere questo obiettivo, è fondamentale che tutti gli attori della società collaborino, trasformando la diversità in fattiva risorsa per la costruzione dell’armonia comunitaria.