(Adnkronos) – L’elaborazione di un codice di condotta europeo per le ong in mare in carico a Bruxelles, come ipotizzato dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, “potrebbe essere una soluzione. Ma bisogna vedere quale natura gli attribuiamo, perché se resta solo su base negoziale e volontaristica, come quello elaborato da Minniti nel 2017, presenta dei punti deboli sebbene il rifiuto di adesione da parte di ciascuna ong potrebbe dare luogo a significative conseguenze. Funzionerebbe solo se fosse firmato da tutte le organizzazioni interessate con l’auspicabile coinvolgimento responsabile degli Stati di bandiera. Anche un Codice siffatto andrebbe inserito in un contesto più ampio, che coinvolga gli stati nell’ottica di una concertazione europea mirata alla prevenzione degli imbarchi”. Così Alessandro Zampone, professore ordinario di Diritto della navigazione e dei trasporti all’università Sapienza di Roma, risponde all’Adnkronos sulla stretta in corso del Governo contro le navi ong ed afferma.
“Il decreto del 4 novembre ce lo aspettavamo. Anche se su alcuni punti lascia perplessi poiché ci sono significativi profili di contraddittorietà, ha comunque un merito: ripropone una questione da affrontare una volta per tutte. Ed un demerito: gestisce il problema a colpi di decreto invece che con la concertazione”.
L’Italia fa dunque la voce grossa o assolve ai suoi obblighi? “L’equilibrio è molto delicato. L’operazione di soccorso riposa su presupposti normativi molto solidi, facenti capo al diritto del mare e, più in particolare, alla convenzione del 1979 il contesto della quale, comunque, era allora diverso rispetto ad oggi, perché gli interventi erano episodi accidentali, pensati per fronteggiare situazioni di distress della nave, non operazioni sistematiche – risponde il marittimista – Pertanto sul fronte normativo si soffre senz’altro una certa inadeguatezza rispetto al fenomeno migratorio in relazione ad operazioni di soccorso sistematiche; ma non c’è dubbio su un punto: ‘il place of safety’ (Pos) può essere solo provvisoriamente identificato con la nave finché non si raggiunga un luogo sicuro di sbarco, come confermato da una recente sentenza della Cassazione”.
Il Pos potrebbe anche essere lo stato di bandiera? “Sì, teoricamente può esserlo qualunque posto che possa definirsi sicuro in senso evoluto, ma è anche certo che lo sbarco dei migranti dovrebbe avvenire nel modo più rapido possibile e funzionale alle circostanze del caso”.
Si parla di navi ong impegnate in attività di ricerca e soccorso in mare pur senza abilitazione a farlo: “La verifica a bordo da parte delle autorità italiane può esser fatta, ma solo dopo il compimento delle operazioni di trasbordo o di sbarco delle persone alle quali è stato prestato soccorso qualora sussistano seri indizi di pericolo per la salute, la sicurezza, l’ambiente , le condizioni di lavoro a bordo – spiega l’esperto – Per quanto riguarda la mancata firma da parte di alcune ong del codice di condotta predisposto da Minniti, si tratta di uno strumento privo di sanzioni particolarmente efficaci, è un accordo essenzialmente negoziale che sfugge a controlli giurisdizionali. Uno strumento di soft law, tra l’altro pure sintomatico di un certo tipo di atteggiamento all’epoca verso queste organizzazioni”. Cosa accade se alla nave ong mancano le certificazioni Adeguate per l’esercizio di tali operazioni ? “In una recente sentenza dell’agosto scorso ha dato la risposta la Corte di giustizia europea: Lo stato di approdo puo fare i controlli e può sottoporre a fermo preventivo in caso di carenze che pregiudicano la sicurezza da un punto di vista sostanziale, non formale. Vale a dire che il mancato possesso di certificato di classe adeguato al soccorso in mare – conclude Zampone – è sostanzialmente irrilevante a questi fini fermo restando che lo stato di approdo può imporre azioni correttive volte a ripristinare condizioni di sicurezza compromesse”. (di Roberta Lanzara)