(Adnkronos) – Per la prima volta è stato creato in laboratorio un organoide d’osso, una riproduzione tridimensionale del tessuto cartilagineo e osseo umano, utilizzando cellule staminali scheletriche di pazienti con la sindrome di Hurler, per studiare i meccanismi e sperimentare trattamenti più efficaci per questa malattia genetica rara pediatrica che colpisce in Europa un bambino su 100mila. Il risultato è stato raggiunto grazie a una ricerca portata avanti dalla Fondazione Tettamanti di Monza e dalla Sapienza università di Roma, pubblicata sulla rivista scientifica internazionale ‘Jci Insight’.
Lo studio vede tra i co-autori Shunji Tomatsu dell’università del Delaware (Usa), tra i massimi esperti mondiali di mucopolisaccaridosi, gruppo di patologie genetiche rare di cui fa parte la sindrome di Hurler. Questa malattia è causata dalla mutazione di un gene e dalla conseguente assenza dell’enzima che nell’organismo umano si occupa dello ‘smaltimento’ di alcune catene di zuccheri, dette glicosaminoglicani. L’accumulo di queste molecole danneggia tutti gli organi e i tessuti, in particolare le ossa che risultano essere la parte del corpo più resistente alle terapie oggi disponibili: l’enzimatica sostitutiva, che consiste nella somministrazione dell’enzima mancante, il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche e la terapia genica, ovvero l’infusione nel paziente di cellule staminali ematopoietiche del paziente stesso, in cui il gene mutato è stato ‘corretto’ in laboratorio.
L’organoide, che replica alcune caratteristiche peculiari delle ossa dei pazienti colpiti da questa patologia, viene ritenuto dagli scienziati un modello prezioso per osservare con precisione ancora maggiore i meccanismi della malattia e su cui sperimentare farmaci più efficaci. “L’organoide è stato creato a partire da cellule staminali scheletriche, cellule essenziali per generare il tessuto osseo, prelevate dal midollo osseo dei piccoli pazienti”, spiegano Marta Serafini della Fondazione Tettamanti dell’Irccs San Gerardo dei Tintori di Monza e Mara Riminucci, del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza. “Queste cellule hanno generato cartilagine che si è poi trasformata in tessuto osseo e midollo osseo nel modello tridimensionale. E’ stato osservato, anche attraverso analisi molecolari e istologiche, che l’organoide manifestava delle importanti alterazioni rispetto ai soggetti sani. La ricerca rappresenta un primo passo importante per approfondire lo studio di questa patologia e, in prospettiva, di altre malattie genetiche rare con coinvolgimento scheletrico”.
“E’ fondamentale sviluppare modelli per studiare malattie rare vista la difficoltà di ottenere e, quindi, di analizzare campioni di tessuto, in particolare da pazienti pediatrici”, osservano Serafini e Riminucci.
La sindrome di Hurler è la forma più grave di mucopolisaccaridosi di tipo 1, malattia genetica rara che, a sua volta, fa parte della più ampia famiglia delle mucopolisaccaridosi, caratterizzate dall’assenza degli enzimi necessari a metabolizzare e smaltire nelle cellule le molecole di zucchero complesse. L’accumulo di tali molecole danneggia gli organi e i tessuti ed è alla base di gravi sintomi tra cui problemi nella crescita, deformità scheletriche, malfunzionamento degli organi interni e del sistema nervoso. Le ossa sono particolarmente resistenti alle terapie oggi in uso per il trattamento della sindrome di Hurler, spiegano gli esperti, e pertanto le deformità scheletriche risultano essere uno dei sintomi più gravi di questa patologia. Studiarne i meccanismi, anche attraverso organoidi ossei ricavati da cellule umane, aumenta le possibilità di conoscere la sindrome di Hurler più a fondo e di sperimentare in prospettiva terapie più efficaci.
“Vorrei sottolineare – conclude Andrea Biondi, direttore scientifico dell’Irccs San Gerardo dei Tintori – l’importanza dei risultati all’interno della ricerca sulle malattie rare e in particolare quelle metaboliche congenite, che ha nel nuovo Irccs una delle sue aree più rilevanti di ricerca e sviluppo sia da un punto vista clinico che sperimentale”.